A
proposito del restauro post traumatico del Lungarno Torrigiani
Intorno al dibattito sul restauro architettonico del Lungarno Torrigiani
si stanno alimentando pericolosi equivoci sugli interventi da farsi che niente
hanno a che vedere con il restauro del parapetto, della cosiddetta
“spalletta”. Da questo punto di
vista l’articolo del prof. Garzonio (cfr. La Nazione del 25 agosto 2016) è
molto utile e le osservazioni fatte non sono affatto sbagliate nel contesto del
restauro urbano, perché in questo si parla soprattutto della qualità delle
malte e dei materiali che fanno parte del calcestruzzo di fondazione e quindi
del consolidamento ottocentesco dell’argine. La maestria del lavoro allora
eseguito è indiscutibile vista l’alta qualità del calcestruzzo storico;
tuttavia va detto per non equivocare che l’apparecchio murario basamentale
dell’arginatura e del colletto pensile del fiume ha seguito, assecondandolo –
come ovvio che fosse - l’andamento curvilineo del fiume che in quel punto aveva
formato una leggera ansa come ben rilevabile nella carte del Catasto
Leopoldino. D’altronde, nell’Oltrarno, a partire dalla pescaia antistante la
Torre di San Niccolò, insistevano opifici, impianti idraulici, con sistemazioni
e canalizzazioni a se stanti, tutte opere che sono state smantellate al tempo
di “Firenze Capitale” e quando si è realizzato il lungarno, lo stato dei luoghi
era affatto diverso da oggi e da quello pre-Unitario. L’architettura moderna, post Unitaria, del Lungarno Torrigiani
è dunque ben altra cosa!
Queste fondazioni con gli apparecchi murari in Pietra Forte erano
giustificate in un quadro di rifunzionalizzazione che allo stato attuale deve
essere ben compreso. Questi interventi sono testimoni di un’ardita azione di
riqualificazione urbana, ed anche per questo devono essere indubbiamente
salvaguardati, laddove semmai con i numerosi micropali messi oggi in opera si
rischia di comprometterne con forature e tagli l’originaria funzionalità.
Detto questo il problema della risarcitura del parapetto terminale e
quindi della sua corretta giacitura, pare di dover dire, è altra cosa! Tant’è
vero che l’attuale muretto superiore con cimasa in pietra arenaria è stato alzato su quelle curvilinee fondazioni, tuttavia
compensando la geometria della scarpa seguendo cioè un andamento rettilineo, a corroborare
l’eventualità in discussione che il ripristino attuale non possa non prevedere
una forma diversa da quella originaria.
A mio avviso studiando con attenzione negli archivi, magari spogliando tra
le carte dell’Ingegnere del Circondario che ha eseguito l’intervento
ottocentesco, troveremo di certo le risposte progettuali ricercate. Tuttavia, non
è di certo da escludere il fatto che i crolli recenti possono avere accentuato
anche la giacitura del basamento, già indebolito dai lavori idraulici recenti,
che in ogni caso dovrà essere opportunamente rafforzato, accuratamente sarcito
con malte compatibili come indica Garzonio.
Il problema del restauro della spalletta resta comunque a se stante ed
inalterato, richiedendo con tutta evidenza la primaria necessità di riconferire
la giusta geometria al parapetto che oltretutto – come ben sappiamo - è stato più volte ripreso e rifatto nel
dopoguerra.
Le ragioni addotte per presunti risparmi economici e di contenimento dei
tempi di esecuzione non dovrebbero - a mio avviso - influire sulle ragioni inoppugnabili del restauro. Non ci
sono in definitiva plausibili motivazioni per salvare la deformata
accidentalmente assunta superiormente dalla spalletta che, al contrario,
lasciata nello stato attuale creerebbe un grave danno all’immagine della città,
alla consolidata percezione del Lungarno in un punto sensibile del suo
sviluppo.
Per concludere, se è giusto mettere in sicurezza e restaurare il basamento
storico del Lungarno Torrigiani, è altrettanto corretto assumere
responsabilmente altre scelte nella messa in pristino della spalletta superiore
che dovrà essere attentamente riprogettata nel rispetto della sua conformazione
originaria, curandone l’impatto cromatico e materico, pur con sottili
differenze, come si fa nelle integrazioni nelle composizioni pittoriche
d’autore. La salvaguardia della qualità e dell’unitarietà della scena urbana
fiorentina, Patrimonio Mondiale dell’Umanità, lo richiede sopra ogni altra
cosa.
Giuseppe Alberto Centauro
Docente di Restauro Architettonico (Dipartimento di Architettura di
Firenze)
Nessun commento:
Posta un commento