Molto brevemente. Io non amo la satira. Perché mi satura, appunto (dal latino satura, piatto, manicaretto riempito di frutti di ogni maniera).
E quindi le vignette di Charlie Hebdo non mi colpiscono, e non mi offendono nemmeno.
La satira veste ai mei occhi un abito di conformismo anticonformista che presto scopro e dietro il quale non trovo niente, o dopo averlo scoperto, non accade niente.
La satira è irrilevante, anche quella più feroce, e al massimo, quella migliore, può farci sorridere o aprire uno squarcio inaspettato. Raramente lo fa.
Dunque non mi sono indignata nemmeno un po' difronte agli italiani diventati lasagne triturate eccetera. Mi è sembrato subito chiaro cosa volessero dire, e che comunque avessero macabramente colto nel segno.
Quale sarà il prossimo terremoto, si potrebbe interpretare dalla vignetta, che farà una nuova strage di cui il potere mafioso e corrotto, dopo le mille promesse, si ciberà? Che il sistema mafioso e tribalistico familiare non sia esclusiva del nostro paese, è certo; che che sia consustanziale al nostro paese, è sicuro.
Non siamo quotidianamente cibo del potere economico e politico? Non siamo le loro lasagnette quotidiane?
Questo non è un luogo comune, come qualche scribacchino di giornale potente ha voluto sottolineare.
Sì, subito tutti hanno levato gli scudi. Che paese ipocrita.
Questo invece non è accaduto con lo spettacolo, a mio avviso indegno, di una donna corteggiatrice di potenti assunta così frettolosamente nel novero dei santi dalla Chiesa Cattolica. E che invece uno come Lorenzo Milani, per esempio, sia lì ancora ad aspettare insieme a tanti altri.
Fra i due, io scelgo Charlie.
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