Apro il cassetto dei ricordi e stamani trovo Francesco Nuti, morto ieri dopo anni di malattia, e che conobbi alla fine degli anni '70, una sera, quando venne a bere a casa nostra dopo un recital in una piazzetta della Chiesanuova, a Prato, per la Pratestate.
Simpatico. Dal sorriso irresistibile. Una bellissima voce, chiara, pulita, dalla vocalità estesa, larga, alla toscana.
Mio padre conosceva il suo, gli aveva costruito la casa a Narnali in quel di Prato. Ma a Prato lo conoscevano in tanti, perché il suo babbo vi faceva il barbiere...Mio fratello prese qualche lezione di matematica dal suo di fratello, Giovanni, e mi ricordo anche di essere stata a casa Nuti proprio con mio padre.
Ma Francesco già era diventato un personaggio, volato in quel di Roma.
Malinconico, sì. Era questa la sua forza comica. E seduttore all'apparenza imbranato.
Molto diverso dall'altro comico "pratese", Roberto Benigni.
Benigni malinconico non lo era mai sulla scena, lui era di un solo colore, marionetta impertinente. Mai chiaroscuro, tutta luce. E per creare lo scuro o polo negativo, essenziale per far ridere o sviluppar la storia, Roberto prendeva a suo fianco Carlo Monni, per esempio.
Carlo mi raccontava di come Benigni fosse preciso, studioso, attento, come nulla lasciasse al caso. E quindi non stupisce affatto che si sia occupato di Dante, o della Costituzione, che la sua parabola, ben pensata e costruita dopo aver smesso i panni del buffone, ormai troppo compromesso e vecchio (e non parlo di età!), abbia finito per toccare, seguendo la tradizione toscana, la chiosa popolare e celebrativa.
Al contrario Francesco lo scuro ce l'aveva dentro: mai ligio, e troppo confidente in sé stesso, forse intemperante, disordinato, seduttore di tante sue attrici, (contrariamente a Benigni che ne ha scelta una e come!), non protetto politicamente come è stato ed è Roberto, che fece da subito atto di fede politica, e direttamente sul palco.
Il comico (e tutti gli artisti, del resto) se non entra nella chiesa politica ed economica, non decolla. Lì lui viene vezzeggiato e innalzato ai massimi livelli, gli lasciano a volte anche certa libertà, ma nello stesso tempo, se fa uno scivolone non previsto o manca al guadagno, si vede subito liquidato, perché è proprio del sistema politico ed economico creare usare e distruggere gli artisti, da sempre.
In una intervista credo a Donna Moderna dopo l'uscita del suo film "Io amo Andrea", Francesco parla della sua crisi artistica:
-Perché motivo entrò in crisi?
-Colpa del successo. Dovevo incassare palate di miliardi a ogni film, era un incubo.
Benigni capì subito come funziona il sistema; Francesco no, pensava di essere superiore, il più forte. Fino alla caduta.
Francesco incarna la tragicità dell'artista, le sue contraddizioni insolubili, e ancor prima della "caduta". Roberto, pur facendo satira al potere, e quanta contro Berlusconi morto proprio il giorno in cui se n'è andato Francesco oscurandone la morte, mai.
Per chi ha tempo, questo è un bel ricordo di Francesco, dove lui stesso parla di sé e della sua carriera:
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