martedì 20 giugno 2023

Poche e solitarie parole

Caro Malaparte,

tra qualche giorno, giovedì 29 giugno, leggerò di nuovo le lettere che ti ho scritto e scrivo a Palazzo Datini, con qualche novità rispetto al debutto di qualche mese fa alla Baracca.

Come allora farò ascoltare alcune interviste a  te e su di te.

Tu non eri certo un esempio di virtù, ma udendo la tua voce, oltre alla tua gigioneria,  al narcisismo, insomma alla pura vanità che caratterizzava il tuo personaggio, riluce la ricchezza della tua cultura, la sapienza nell'uso della lingua, anche popolare.

Contrasta il tuo modo fluido di parlare, dal lessico ricco e vivace, con lo smorto e misero nostro!  Come è striminzita e senza grazia, e singhiozzante la lingua che parliamo!

E pure tu usi parole semplici, non ti gonfi e adorni con artifici retorici.

Ricordo i miei vecchi, come sapevano parlare e discorrere, che incanto le loro storie, erano per me puro nutrimento di sentimenti e idee.

Bisogna continuare a novellare come loro ci insegnarono, e arricchire il nostro linguaggio con il dialetto e la lingua antica, ché il rischio della dittatura del mondo si intravede anche in questo costringerci comodamente all'uso di poche e solitarie, brutali e mute parole.  Preferiamo muovere le mani sulla tastiera piuttosto che articolare la voce e ascoltare la viva dell'altro: i messaggini ormai sono fra i peggiori nemici del nostro linguaggio (e quindi della nostra arte e della politica?).

E forse è questo il senso di quando, rispondendo alle critiche che  muovevano al giornalista Malaparte, tu sostenevi che la realtà va inventata e abbellita: non tanto per perpetuare la menzogna, ma per rendere quella migliore, affinché la brutalità e la violenza, la barbarie non abbiano sempre la meglio, come pare che sia.

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