Ho visto Fo sul palco di Grillo, a Milano, davanti a una folla immensa. Aveva un che d'antico, nel suo bel cappotto con cappello nero.
Finora Grillo non aveva avuto nessun testimonial fra gli artisti, l'unico a non averne come avevo scritto, poi è comparso il Nobel vivente.
Finora Grillo non aveva avuto nessun testimonial fra gli artisti, l'unico a non averne come avevo scritto, poi è comparso il Nobel vivente.
Grillo ha fatto la pubblicità al libro scritto a quattro mani con Fo, che La Repubblica non avrebbe recensito, si sono abbracciati. Fo era declinante e malinconico; con grave vetustas si è mostrato in veste di arringatore di folla sollecitante il cambiamento, che invano è atteso dal Dopoguerra.
Perché questi comici, questi artisti non resistono ad appoggiare il potente, il fortunato di turno?
Chi non ricorda Benigni con Berlinguer, e quanta fortuna il pratese deve a quel partito il cui segretario prese in braccio!
E come dimenticare poi Pirandello che dona la sua medaglia d'oro del Nobel a Mussolini ripreso dalla telecamera di Regime...?
La vanità è determinante, ma non solo. E' voler essere sempre dalla parte di chi vince, di chi splende.
Così si ha lavoro, oltre a essere in vetrina. Guai a stare in ombra, defilati, mostrarsi schizzinosi, criticare poi!, si sa, non ti fanno lavorare, non servi. Sei finito. Cosa se ne fanno, altrimenti, della tua arte? Oh, ne hanno tanti a disposizione e pronti!
E' così che l'arte è al servizio dello status quo, oltre che del mercato, oggi per la verità molto di più che ai tempi di Pirandello; ed è immobile, non parla, non stimola, non ha più senso rifondativo. Non rompe nessun schema.
E' così che è prodotta tanta arte passeggera, o anche, si potrebbe dire, passeggiatrice.
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