domenica 22 febbraio 2015

Ronconi

Tutti piangono, in modo retorico dato che molti dei piangenti non vanno nemmeno a teatro, la morte di Ronconi. A Prato, che lo ha nominato cittadino onorario nel novembre del 2014 per un laboratorio che datava anni '70, con relativi spettacoli che costarono poi una crisi di giunta e l'allontanamento del maestro, "oggi e domani sul Palazzo Comunale resteranno esposte le bandiere a mezz’asta in segno di lutto per la morte del Regista Luca Ronconi cittadino onorario di Prato". 
Io non ho mai amato Ronconi, voglio dire, il suo teatro, se si esclude l'Orlando Furioso che lui fece a Prato e anche in televisione. Quello sì, quello è stato il suo spettacolo innovativo, l'unico che si possa fregiare il titolo di 'rivoluzionario'. Il resto, no. Non suscitava in me, come nemmeno l'ultimo spettacolo che ho visto di lui al Metastasio, alcun tipo di emozione o interesse. Freddi i suoi spettacoli come le sue macchine. La recitazione poi, lentissima, degli attori, insostenibile. Maniera assoluta e assolutizzante, molto ammiccante al diafano, razionale stile francese, direi. 
Altri registi o maestri ho amato di più, meno celebrati e conosciuti, più colti e spirituali come Orazio Costa Giovangigli, il cui teatro di Roma dovette cedere il passo al più politicamente protetto teatro di Milano...(come mi racconta Gianfelice D'Accolti che ha avuto Costa come maestro).
O il provocatorio Carmelo Bene, insuperato anche nelle sue regie.
Ronconi, troppo inserito nell'asfissiante e asfittico sistema teatrale protetto dalla politica di potere, non produceva da troppo tempo ormai, alcun teatro libero o liberante, né nella scelta dei testi né più da un punto di vista tecnico.

Pier Paolo Pasolini scrive nell'introduzione di "Bestia da Stile"(1965-1974):


 "L'Italia è un paese che diventa sempre più stupido e ignorante. Vi si coltivano retoriche sempre più insopportabili. Non c'è del resto conformismo peggiore di quello di sinistra: soprattutto naturalmente quando viene fatto proprio anche dalla destra. Il teatro italiano, in questo contesto (in cui l'ufficialità è la protesta), si trova certo culturalmente al limite più basso. Il vecchio teatro tradizione è sempre più ributtante. Il teatro nuovo - che in altro non consiste che nel lungo marcire del modello del Living Theatre (escludendo Carmelo Bene, autonomo e originale) - è riuscito a divenire altrettanto ributtante che il teatro tradizionale. E' la feccia della neoavanguardia e del '68. Sì, siamo ancora lì: con in più il rigurgito della restaurazione strisciante. Il conformismo di sinistra. Quanto all'ex repubblichino Dario Fo, non si può immaginare niente di più brutto dei suoi testi scritti. Della sua audiovisività e dei suoi mille spettatori (sia pure in carne e ossa) non può evidentemente importarmene nulla. Tutto il resto, Streher, Ronconi, Visconti, è pura gestualità, materia da rotocalco".

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