domenica 26 febbraio 2017

"Le ragazze delle fabbrichina" al Teatro La Baracca: una recensione


Ieri sera, a La Baracca, ha debuttato Le ragazze della fabbrichina (nel nuovo allestimento), tratto dall'omonimo racconto di Dunia Sardi (dalla raccolta di suoi racconti La bambina con la farfalla sulla testa, Attucci Editore, prima edizione 2010),  con adattamento e regia di Maura Salvi, e con Elena Cianchi, che recita con Maura, de La bottega delle maschere di Agliana.

Il pubblico era, come non di rado accade alla Baracca, popolare. E con ciò voglio dire composto di persone che solitamente non hanno l'abbonamento agli spettacoli de La Pergola o del Metastasio.

Erano venuti per rievocare un mondo che non c'è più, il mondo della fabbrica, quando il lavoro, dopo la guerra, diventò una certezza, e pur tra mille difficoltà, tutelato.

Quando a Prato, e anche la 'fabbrichina' della vicina Agliana del longevo imprenditore pratese Lorenzo Tempesti, le fabbriche inquinavano senza pietà l'aria e le 'gore', e i giovani erano soliti scommettere di quale colore l'acqua si sarebbe tinta la sera.  Le gore erano tenute bene, qualcuno ha ricordato, ché servivano all'uso!

Il testo rievocava la passione che legava molti operai al proprio lavoro di fabbrica, e addirittura al telaio, nonostante i molti aspetti negativi.

Si potrebbe dire che allora la gente era 'schiava' felice, mentre oggi, con il lavoro precario incerto e ancor meno tutelato, è 'schiava' infelice, e non ama il proprio lavoro, ché non può amare ciò che è incerto, volatile, brutale.

Era una vita che si adattava, che si poteva ancora adattare alle ingiustizie, ché le poteva combattere, perché, esistendo certezze, si potevano coltivare le illusioni e le speranze.

Una bella operazione nostalgia, che ha meriti anche teatralmente parlando.

Infatti, il teatro popolare oggi, realizzato soprattutto dalle compagnie amatoriali o filodrammatiche, è comico, sguaiato, vuole far ridere, vuol riempir la sala (e ci riesce), è vanitoso e, ahimè spesso sciocco. Tanto che, ad alcuni attori che diventano professionisti tramite questa strada, rimane addosso questa specie di volgarità 'amattoriale', come si osserva anche in divi televisivi.

Le ragazze della fabbrichina, invece (come il testo d'origine di Dunia Sardi che ho letto stamani), è una fine opera teatrale popolare, con cui Maura Salvi  offre un esempio, una riflessione 'verace', spontanea e intelligente su un mondo che non c'è più, che, se pure mostra momenti di ilarità, non intende far ridere, non ammicca, non è 'piaciona', non lusinga.

Cosa rarissima, appunto, nel teatro popolare, ormai diventato irrimediabilmente, da popolare, popolano.

Grazie a Maura, Elena (brava, intensa, la Cianchi!), Dunia, e a tutto il pubblico che ha reso 'vera' la serata nel piccolo teatro La Baracca. Come, ha notato Gianfelice, una sera dei vecchi tempi a raccontare, ricordare, rivivere accanto 'a i' foco'. 

Ma i' teatro anche a questo e' serve.

M.E.

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