“LA BROCCA
ROTTA” AL TEATRO LA BARACCA DI MAILA
ERMINI
(12-13 novembre
2021) Regia, riduzione e interpretazione di Gianfelice D’Accolti
One man show
Folgorante
messa in scena del capolavoro di Heinrich von Kleist a La Baracca. Un
gran peccato per chi si è perso “La Brocca Rotta” (Der Zerbrochne Krug, 1802) per la regia, riduzione e interpretazione di
Gianfelice D’Accolti, straordinario artefice di una performance da “guinness
dei primati” con ben 12 personaggi restituiti in un unico corpo recitante.
Si è trattato di una prima assoluta mondiale con un tal genere di messa in scena
che ha rivisitato uno dei testi teatrali più celebrati e complessi che ha fatto
la storia della drammaturgia moderna, illuministica e postrivoluzionaria,
grazie al pensiero anticonformista del suo geniale autore.
Si tratta di una tragedia moderna assai ispirata e di rara
sensibilità artistica che coinvolge
lo spettatore per la lucidità dell’analisi e per il sommesso realismo che
spicca in un’epoca di parrucconi e in un’ambiente fortemente ingessato come lo
era la Prussia agli inizi del XIX secolo. Un’opera di teatro condotta intorno
allo spinoso tema, ieri non meno di oggi,
di una giustizia zoppa, fortemente “sbilanciata”, che si rende padrona
dei destini dell’uomo, prevaricando persino nella goffaggine dell’irriducibile
arroganza dettata dal potere che l’alimenta.
Gianfelice D’Accolti ha restituito
con grande efficacia la giusta atmosfera attraverso una sapiente regia, dirigendo se stesso “a viso aperto”, senza
sconti, prima operando felici “cesure
sartoriali” nella ricomposizione studiata ad arte del testo originale e poi,
soprattutto, nella scelta di far parlare con un’unica voce i tanti protagonisti della vicenda
processuale che accompagna, l’intera surreale vicenda della Brocca Rotta nella palese
metafora con la realtà, non disgiunta da significati non più che reconditi. Una
storia che si traduce nella molteplicità delle tante implicazioni, etiche
e morali, sollevate nelle mille
sfaccettature che accompagnano tutti i
personaggi in scena come fossero un’unica faccia della stessa medaglia. Nella
rilettura di Gianfelice si ricostruisce perfettamente l’atmosfera del grottesco
dibattimento svoltosi in aula all’interno di un processo tanto farsesco da
avere nel giudice della corte, l’infingardo
Adam, il colpevole da incriminare. Usurpatori e vittime, giudici e imputati
stanno allo stesso tavolo, insieme ai lacchè del potere, mirabile la figura del
subdolo cancelliere Licht, e all’indignazione dei testimoni che si alternano in
giudizio, dove emerge la verve polemica di Marthe, madre della vittima Eve. Tutti costoro saranno
infine soverchiati dall’ordine
costituito che andrà a livellare tutto sotto la coltre dell’ipocrisia di Stato.
come spesso accade nell’immutabile ripetersi della storia dei diritti
calpestati e di una giustizia mai onesta fino in fondo. Una drammaturgica
quella di Kleist che pur vecchia di 220
anni non sembra proprio dimostrarli
perché si rivela attualissima nella dimensione, anche esistenziale, di una veridica
contemporaneità, qui esaltata nei suoi tratti essenziali dalla magistrale
interpretazione di Gianfelice che restituisce con grande incisività gran parte
delle mal celate verità che si ripetono
ab libitum fino alla resa dei conti finale. Suggestiva e commovente l’immagine
che traspare di un Kleist che pare
identificarsi in Eve, giovane vittima dell’inganno
insospettabile e dell’ingiustizia sovrana. Un’opera anche per questo di grande passione, intimista e poetica per
l’autore, che sfuma nell’evidente vis satirica che la rende universale e senza
tempo attingendo alla cronaca di quel tempo. In questo si esalta l’insuperabile
performance attoriale di Gianfelice D’Accolti, un vero mattatore che svolge e
riavvolge la trama nell’efficace riduzione dello spartito originale, dando
voce, carattere e singolare connotazione drammatica, distintamente modulata nei
toni ora appassionati, ora ironici, ora mistificanti rappresentativi di tutti i
protagonisti interpretati come fossero
un'unica cosa.
Gianfelice non è però un folle “one man show”, un Paganini del gesto e
della parola in cerca di un primato fine
a se stesso, bensì un abilissimo
regista-attore che traspone l’aspetto grottesco della storia costruita dall’autore
in un potente j’accuse che coinvolge una ad una tutte le parti in causa. Nella
funambolica riproposizione che ne fa Gianfelice, colpisce soprattutto la figura
dello storpio quanto disonesto giudice Adam, ottuso strumento del potere
guidato dall’arbitrio personale protetto dal ruolo svolto nella società, che si
ritroverà alla fine del processo, per il godimento di tutti gli spettatori,
travolto esso stesso dalla logica di quel potere da lui abusato. Giustizia pare
fatta, ma a ben guardare non sarà proprio così. Infatti, la povera Eve trasformata, da vittima insieme
di un abuso e di un inganno, in un’incolpevole seduttrice nei confronti del suo
corruttore, lo spregevole giudice Adam,
resterà senza una giusta riparazione. Il giudice Adam di contro è reso reo di avere
rotto la brocca e quindi abietto di fronte a quella stessa giustizia, fin ad allora
impunemente gestita pro domo sua ed inutilmente
(goffamente) oscurata di fronte all’autorità superiore, personificata da
Walter, consigliere di giustizia, colui
che, osservando lo svolgimento della causa, lo stava casualmente giudicando nella sua
mansione di giudice.
Il prezzo della Brocca Rotta sarà dunque risarcito ma non già le ferite
lasciate dalla violenza subita da Eve. quasi fossero conseguenze collaterali del maggior torto
subito, della vergogna di una resa. Alla fine di tutti i salmi, Adam più che
dalla malsana attrazione per Eve,
sarà dunque vittima della sua stupida
arroganza e dal suo ritenersi “dio in terra”
fino ad essere punito per lesa maestà proprio come Adamo con Eva tanto
da rovinare per sempre l’Umanità tutta. Che storia!
***
Prima di lasciare la sala, un poco stordito da tanta spregiudicata finzione
giuridica, non ho potuto fare a meno di immaginare nel mentre Adam, alias
Gianfelice, usciva di scena zoppicando ancor più maldestramente di quando,
scappando in fretta e furia dalla camera di Eve, fece fatto cadere, rompendola,
la preziosa brocca dalla mensola, ed ancor prima che si chiudesse il sipario,
al clamore della gente che lo avrebbe atteso dileggiandolo fuori dal tribunale.
Un pensiero questo che mi ha rimandato al testo del Gorilla scritto da
Fabrizio De André. Parafrasando quel testo ho inteso che Adam non avrebbe
passato un bel momento e in testa mi risuonava il refrain : «Attenti al gorilla! Dirò soltanto che sul più bello dello
spiacevole e cupo dramma piangeva il giudice come un vitello negli intervalli gridava mamma. Attenti al
gorilla!».
***
Grazie Gianfelice per tutto l’impegno profuso
nel mettere in scena in solitaria un’opera tanto complessa come questa di
Kleist .
Grazie Maila per aver reso ancora una volta questo
tuo piccolo teatro il cuore pulsante della città.
Grazie ad entrambi per la passione, la professionalità e la profonda dedizione che sempre dimostrate,
dentro e fuori dal sipario, nei
confronti di tutte le storie narrate.
G.A.C.