giovedì 8 aprile 2010

Cultura fa rima con penuria

Anche stamani, sui miseri giornali locali, come ciclicamente capita, si rinnova il grido dei tagli al bilancio della programmazione culturale. Questa volta proviene dalla Provincia, dove un Nesi assessore pratese un po' irritato affida alla stampa il suo ultimo parto declaratorio: "Che sia proprio io a tagliare alla cultura, mi fa un po' girar le scatole" (cito a memoria).
Invita poi gli industriali a non darsela a gambe davanti al sintagma 'Museo del Tessuto', ma non dice perché non lo dovrebbero fare. Per amore della cultura, forse, o della linguistica?
E' vergognoso che siano stati a chiamare a gestire la cosa pubblica persone che non ne sono capaci, che non hanno un minimo di fantasia per almeno evitare di dire sempre e ancora sempre le stesse frasi che si sentono ripetere da anni.
Quando Renato Nicolini (ve lo ricordate?) a Roma si inventò nel '77 l'Estate Romana, non aveva soldi in cassa. Ma attrasse poi con la sua idea un fiume di soldi che scorse per diversi anni ad alimentare gli artisti e non solo. Dopo il periodo bunkerizzato del Terrorismo, Roma rinacque: «Se avessimo da principio pensato, con geometrica potenza progettuale, di spostare i cittadini verso cultura e socializzazione, avremmo fatto un buco nell’acqua. L’Estate Romana nacque semmai dalla constatazione che la città, d’estate, era un deserto, che l’amministrazione non era attrezzata a gestire, priva com’era di un ufficio cultura. Per questo coinvolgemmo associazioni, club, cantine, che realizzarono il meraviglioso urbano, lavorando con entusiasmo e ai limiti del volontariato. Non c’era centralizzazione. C’erano sorpresa e democrazia».
E' chiaro che dietro quel grido che periodicamente si leva a piangere per la cultura, dietro quei tagli che ormai son ferite che chissà se e quando si rimargineranno, in realtà si nasconde l'intento controriformista e reazionario, il vuoto dell'idea, e non importa più da che parte provenga, che di parti ormai ve n'è sol una.

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