mercoledì 24 aprile 2013

Teatro commerciale, dài, il pubblico vuole ridere

In un colloquio di lavoro con una direttrice, una di quelle che decidono sulle programmazioni, viene fuori un dialogo interessante sul teatro, e sull'arte in genere.

Dunque, la prima regola per questi direttori artistici nello scegliere il loro prodotto è la sua commerciabilità.
I direttori sono obbligati a riempire teatri, perché la politica chiede questo, che i teatri siano pieni, che la gente gradisca il prodotto.
E che applauda.
Se per esempio un teatro rimane vuoto, in giunta l'opposizione può dare battaglia. E questo non si può.

Tu puoi anche produrre opere eccellenti, ma se non porti gente, gente che solo la televisione può assicurare, non hai futuro.

Il primo dovere per un artista oggi è quindi assicurare cassetta, e conseguentemente essere personaggio televisivo, anche un pochino basta.

Ecco spiegate le programmazioni commerciali di quasi tutti i teatri, ormai.

Oppure i giovani. I giovani possono essere scelti perché fanno parte del programma 'favorire i giovani', perché ipocritamente si deve fare. Dà lustro al programma politico.

C'è poi troppa produzione. Troppa. Di bassa qualità, chiaramente. Ma il pubblico digerisce di tutto, basta che faccia RIDERE.

In questi tempi di crisi, chiaro, bisogna far ridere il pubblico! Ma far ridere o come i comici televisivi, magari un po' di satira innocua e bonaria alla maniera del bravo Crozza,  oppure in modo del tutto liberatorio.

E dunque che importa se lo spettacolo, l'opera, quello che sia, faccia pena. 

Naturalmente sono vietate tragedie, drammi che non siano specificatamente targati classico, e roba simile.

E' finito per sempre il tempo in cui il direttore artistico sceglieva i suoi spettacoli con un minimo di libertà. Il direttore artistico oggi è scelto dagli spettacoli.



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