lunedì 13 settembre 2010

Gonfienti ovunque

Trascrivo qui due articoli apparsi su Il Tirreno di oggi sulla disastrosa situazione dei beni archeologici nella Toscana Felix.
Si parla anche di Gonfienti.

Toscana al top nella classifica dei musei a cielo aperto     
GABRIELE FIRMANI
Toscana, terra etrusca per eccellenza con 46 aree archeologiche censite che di fatto la pongono automaticamente ai vertici della classifica nazionale in quanto a musei a cielo aperto. Qual è però lo stato della loro conservazione? Secondo Antonio Paolucci, ex-soprintendente ai beni artistici e architettonici di Firenze, la condizione in cui versano i siti archeologici regionali può fare dormire sonni tranquilli: «Complessivamente - sottolinea - mi pare che il patrimonio archeologico sia conservato abbastanza bene».  Di parere un po’ più pessimistico Guglielmo Malchiodi, ex-soprintendente di Pisa, Lucca e Livorno: «Purtroppo, anche in Toscana - spiega - gli scavi archeologici spesso restano come delle cose a sé, scissi dall’ambiente circostante, dal paesaggio e dai centri storici, mentre invece occorrerebbe valorizzarli maggiormente, in rapporto al contesto in cui si trovano. Invece troppo spesso - continua - scavi anche importanti restano come delle isole, emarginate da tutto il resto». Riguardo alla gestione dello stesso patrimonio, questo è suddiviso fra Soprintendenza per i beni archeologici della Toscana, responsabile della gestione delle 11 aree archeologiche ancora ufficialmente oggetto di scavi, e Amat, Associazione musei archeologici toscani, che riunisce, 35 fra musei e parchi archeologici, prevalentemente di proprietà delle rispettive amministrazioni comunali. Fra le aree gestite direttamente dalla Soprintendenza, compare la cinta muraria di Cosa a Orbetello, l’area archeologica di Roselle nei pressi di Grosseto, e il complesso etrusco di Gonfienti, in provincia di Prato: quest’ultimo scavo continua a rimanere al centro di un appassionato dibattito fra il ministero dei beni culturali e gli esperti di storia etrusca, che sostengono come ci si trovi davanti con ogni probabilità alla mitica città-stato di Camars, citata da Tito Livio nelle sue cronache, ma mai individuata con certezza. Secondo Giuseppe Centauro, docente di restauro urbano alla facoltà di architettura di Firenze e primo sostenitore di tale ipotesi, attorno all’area delimitata ci sarebbe infatti molto più di quanto al momento riportato alla luce, compresa la leggendaria tomba del re Porsenna, sepolto con un cocchio d’oro trainato da cavalli d’oro. La Soprintendenza da parte sua continua però a frenare lo stanziamento di nuovi finanziamenti.

Trovo un tesoro e poi l’abbandono  
Lucchesia, terra di sprechi: fattorie romane tra le erbacce, i resti di un tempio in magazzino.
Lo scandalo del parco-necropoli tra Porcari e Capannori: centinaia di migliaia di euro finiti nel nulla   
di BARBARA ANTONI

Gli scavi, i reperti che affiorano, di valore inestimabile, archeologico e scientifico. Fior di studiosi, grandi progetti e soldi. Sembrava l’inizio di un sogno, ma è stato solo un flash. I grandi progetti non sono mai decollati. Il parco delle cento fattorie romane è rimasto lettera morta; il tempio ligneo rinvenuto giace in un laboratorio, i quattro scheletrini trovati vicino sono custoditi in un magazzino. E centinaia di migliaia di euro sono finite nel nulla. Succede nella piana lucchese, in una striscia di territorio a cavallo di due Comuni - Capannori e Porcari - un luogo che, archeologicamente parlando, è considerato uno scrigno, perché qui si riscontra una caratteristica se non unica molto rara: i reperti che riaffiorano sono così ben conservati da dare - ancora oggi - una visione complessiva del paesaggio come era organizzato oltre due millenni fa. Ma è anche un luogo dimenticato, nonostante abbia vissuto periodi d’oro. La storia comincia nel 1987, quando il gruppo di archeologi guidato dal professor Michelangelo Zecchini comincia a scavare a Fossa Nera, dove - nel 2004 - riaffiorerà la prima fattoria romana. Vista l’entità dei ritrovamenti - una fattoria romana con ancora intatti i palmenti per la vinificazione e le presse per l’olio - parte subito la macchina dei progetti e relativi finanziamenti. Tutti - Provincia, Comuni di Capannori e Porcari - premono perché nasca il parco archeologico delle cento fattorie romane, che ha sulla carta tutti i numeri per diventare anche una risorsa turistica e quindi economica. I primi soldi (dati della Provincia) arrivano dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena: 200mila euro, che se ne vanno subito, oltre che per i finanziare gli scavi anche per realizzare la strada (oggi piena di buche) che vi conduce e la segnaletica specifica (oggi coperta da erbacce). In tutto i finanziamenti previsti ammontano a 333mila euro; tolti i 200mila della Fondazione Mps, ci sono 50mila euro della Provincia, 65mila di Porcari e 18mila di Capannori. Il professor Zecchini ricorda bene quel periodo: «Il finanziamento era previsto in tre anni. Ma si è fermato al secondo. Io ero stato incaricato dalla Provincia, ente capofila, come direttore dei lavori. Avevo fatto venire studiosi da tutta Europa e dall’America a visionare gli scavi. Sembrava che il progetto avesse preso il volo ma d’improvviso si fermò. Ufficialmente, si disse, perché la mancanza di una firma su un documento aveva bloccato le erogazioni di soldi. In realtà, credo che intorno al progetto sia venuto meno l’interesse». Non furono gli unici soldi spesi e caduti nel nulla. Perché al progetto, via via venivano destinate piccole cifre anche dai Comuni, rammenta Zecchini. Giulio Ciampoltrini, funzionario della Sovrintendenza responsabile per l’area lucchese, conferma che «in venti anni si sono investite cifre strabilianti in queste aree archeologiche» e aggiunge che «lasciar andare tutto in malora sarebbe criminale. C’è un potenziale che deve essere valorizzato, bisogna farlo rivivere in altri modi». È il 2006 quando per il parco delle fattorie romane comincia il declino. In quel periodo si scava anche vicino, al Frizzone, per costruire il nuovo casello autostradale di Capannori. Gli scavi fanno riemergere un esemplare probabilmente unico al mondo: un tempio ligneo dedicato a Dioniso, in legno di quercia, vecchio di 2150 anni. Un gioiello assoluto, vicino al quale vengono trovati quattro scheletri di neonati. Provincia e Autostrade per l’Italia firmano un accordo per realizzare, accanto al casello, un museo sotterraneo dove custodire il tempio. In breve il museo viene costruito da Autostrade, ma rimane lì: 240 metri quadrati di superficie, una enorme teca vuota. Il tempio ligneo, ad oggi, è immerso nelle vasche di acqua depurata del laboratorio Piacenti di Prato, e rischia lo sfratto. Ciampoltrini dice che sarà restaurato nel giro di alcuni anni, ma i Piacenti lamentano che oltre i soldi di Autostrade per custodire il tempio non hanno mai ricevuto compensi per il restauro.(ha collaborato Arianna Bottari)  



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