lunedì 13 settembre 2010

Una lettera su Gonfienti

"A proposito del reportage giornalistico, a firma di Barbara Antoni e di Gabriele Firmani su “Archeologia e grandi progetti al palo”, oggetto,  su Il Tirreno, di uno speciale “primo piano” regionale quanto mai opportuno, vorrei aggiungere  alcune personali considerazioni;  in particolare, essendo  stato direttamente chiamato in causa come artefice di alcune ipotesi di studio formulate fin dal 2004 al riguardo dell’area archeologica di Gonfienti nel Comune di Prato. 

La salvaguardia e la valorizzazione dei siti archeologici è un diritto costituzionale

Per il sito archeologico di Gonfienti ,  opportunamente segnalato da Il Tirreno  come una criticità regionale,  ritengo utile sottolineare preliminarmente il fatto di come, a prescindere dalle ipotesi di studio sostenute da chi scrive, questo risulti da tempo area di conclamata ed eclatante importanza per l’eccezionalità dei ritrovamenti che gettano nuova luce sul periodo etrusco arcaico nell’Etruria Settentrionale.
Una rilevanza questa,  già affermata in un Convegno regionale svoltosi nel 2006, poi disattesa e lungamente negata sia sul piano della salvaguardia sia su quello  della possibile fruizione dei luoghi.  Ribadisco, ancora una volta, il fatto che  le ipotesi di studio devono costituire una molla per avanzare le ricerche sul territorio e contribuire  a dare slancio ai giovani ricercatori, specie dopo scoperte di così rilevante peso scientifico e culturale, e non già essere utilizzate  strumentalmente per distrarre l’attenzione sui doveri istituzionali e sulla mancata continuità degli scavi o la buona tenuta degli stessi. Oggi, infatti, occorre restituire dignità e leggibilità ai siti archeologici lasciati in desolante abbandono, così com’è avvenuto clamorosamente per la Città degli Etruschi di Gonfienti. Si tratta in questo caso di una realtà archeologica  che ha mosso l’attenzione a livello mondiale non solo tra gli studiosi e gli addetti ai lavori, ma anche ha suscitato a livello locale grande interesse ed emozione tra i cittadini, per quanto “solo avvisati” e mai realmente edotti sulla portata  della scoperta. I cittadini, legittimamente, reclamano per questo insediamento etrusco un pieno diritto di cittadinanza anche per far sì che  intorno a questa straordinaria risorsa culturale si crei il presupposto di un nuovo sviluppo economico per tutto il sofferente distretto pratese, ma non solo. Si richiede quindi una continuità di azione per sollecitare un diritto costituzionale alla salvaguardia e alla valorizzazione per questi giacimenti  culturali. Francamente non si capisce come anche da parte delle autorità istituzionali, che dovrebbero essere  garanti della tutela, si sia finito per trasformare questa  presenza in un qualcosa di ingombrante, trattando la questione con imbarazzante “riservatezza” pervenendo di contro non già alla protezione bensì all’obliterazione di ampie porzioni di terreni contenenti reperti archeologici di inestimabile valore: un abitato dell’età del Bronzo,  tratti di acciottolati stradali, canalizzazioni e resti di strutture murarie d’epoca proto etrusca. L’ipocrisia della formula dell’ archeologia preventiva, qui adottata al fine di acconsentire l’interramento di 120.000 mq. sotto binari, magazzini e piazzali, nonchè l’aver  disposto una frettolosa bonifica dei terreni  da destinare ad altri usi, non possono in alcun modo, specialmente sotto il profilo etico, soddisfare alcuna esigenza di conservazione,  tanto meno giustificare quanto è accaduto a Prato. E qui vorrei sottolineare il fatto che le preoccupazioni  del restauratore riguardano non solo lo stato di conservazione attuale e quello futuro dei luoghi quanto, e soprattutto, le modalità di trattamento e di riqualificazione portate avanti per i siti archeologici, affidati – come detto  - a prassi e modalità d’intervento del tutto discutibili sia in fase di prevenzione sia in vista di una valorizzazione futura. Occorre ricordare che in primis si deve rispettare l’esigenza di relazionare opportunamente i reperti al loro  contesto originario,  preservandolo da un punto di vista paesaggistico, restituendo  altresì visitabilità ed accessibilità ai luoghi  per non trasformare beni archeologici così rilevanti in una realtà fantasma, magari da rintracciare fra qualche anno nei soli bollettini ministeriali.

Prof. Giuseppe A. Centauro (Professore associato di Restauro Architettonico ed Urbano presso il Dip. di Costruzioni e Restauro - Università degli Studi di Firenze)

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