Non ho nessuna voglia di festeggiare la Festa del Lavoro.
E non la festeggio. Lavoro.
Per quest'estate, a Prato, non sono riuscita a piazzare né Prato nel Sacco, né l’Antologia del Bisenzio, né alcunché di altro.
Sono punita
perché oso parlare e dire e scrivere le cose che non vanno.
Alcuni amministratori s’inventano
le balle: che non ci sono soldi (ce ne sono, anche se di meno); che devono
lavorare gli altri. Come se io lavorassi tantissimo e rubassi chissà quanti soldi.
Ma chi sono poi questi ‘altri'?
Gente che nel futuro deve portare
voti e consenso. Spesso sono amateurs delle arti, non professionisti che pagano
regolarmente le tasse, eccetera. Ma a chi amminEstra non interessa che tu sia un 'professionista', non sa nemmeno cosa significhi esserlo.
Prato è una città che riconosce un solo lavoro, quello che ruota intorno alle fabbriche, per cui si sono inventati anche lo slogan "Il tessuto è tutto", proprio in quel Museo del Tessuto dove non hanno minimamente considerato lo spettacolo Pratopezza, ormai famoso nonostante loro, perché era ideato, scritto, interpretato e musicato dalla signora Maila Ermini. Una che ha fatto la battaglia per Gonfienti e contro l'Interporto.
L’anno passato sono riuscita a smascherare quella frottola della signora Armstrong proposta per l'estate, una figlia che Amstrong non ha mai avuto, strombazzata a
destra e a sinistra come evento unico dalla Circoscrizione Sud. Ve lo ricordate?
Un giorno che avrò tempo mi
voglio mettere a raccontarle tutte, le puttanate che sono state fatte.
Pensano di impedirmi di parlare
con i pochi spiccioli che mi danno per uno spettacolo?
In passato si lavorava molto di
più rispetto a oggi, ma sostanzialmente trattati come pidocchi alla stessa stregua di oggi.
Non importa quello che fai, come
lo fai, non gliene frega niente. E’ tutto uguale per loro, i caporioni, basta che sia funzionale. Che ci sia l'associazione giusta, i gruppi di giovani giusti, i gruppi o i singoli anzianucci da mettere come va bene a loro. Qualche contentino ogni tanto, e via.
Così si fa ‘cultura’ dandola in
pasto al pubblico fatta da gente che non è del mestiere, che pratica l’arte con
le scarpe (come si vede anche nei teatri, quanti raccomandati). Che dice quello
che deve dire come piace al potere. Vuoi uno spettacolo sul 'pasciulì' per 'la festa del pasciulì'? C'è.
Oppure chiamano i ‘nomi’, quelli che per
uno spettacolo ti fanno pagare fior di quattrini. I figli d'arte. I figli della televisione. Quelli per cui una piazza non basta, i numeri non bastano...
Nel giorno della festa del Lavoro
voglio denunciare che questa città, come altre per la verità in questa Toscana
infelix, non valorizza il lavoro artistico. Quello serio. Quello che si fa tutti i giorni.
Ti fanno lavorare solo sei
funzionale al potere. Se porti voti. O sei una biscia che striscia. Se vai sul palco quando c’è la
campagna elettorale, per loro.
Dunque quale libertà ci può
essere? Che senso ha questa festa? Che senso ha questa nostra 'arte'?
Prima o poi dovrà finire questa
ingiustizia, questa gestione ipocrita e inutile, strumentale della cosa pubblica, e in particolare, del 'culturame' degli uffici del culturame, e finirà.
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