L’Etrusca Disciplina e il temenos di
Gonfienti
di Giuseppe Alberto Centauro
Si racconta che un fanciullo d’origine divina, di nome
Tagete, insegnò in un sol giorno l’arte divinatoria agli Etruschi che, di
generazione in generazione, la tramandarono insieme ai riti accadici e
anatolici delle origini (culti ilozoisti); in queste arti gli Etruschi
furono maestri tanto da porre quegli antichi saperi al centro del loro modo di
essere, di porgersi nei confronti del quotidiano e, imparando da essi,
affinarono indiscutibili capacità tecnologiche e metallurgiche. Strabone
racconta che fu Tarconte, fondatore di Tarquinia (Tarchu-na in lingua etrusca), insieme al fratello Tirreno a
introdurre tali riti in Etruria nel corso della prima migrazione dalla Misia.
Verrio Flacco e Aulo Cecina ci tramandano che fu proprio Tarconte ad iniziare
nel IX sec. a.C. l’esplorazione dei territori a nord dell’Arno, spingendosi in
Val Padana fino alla pelasgica Spina. Oggi, dai ritrovamenti di Villanova a
Castenaso (BO) e in mancanza di più precise cognizioni, indichiamo come
Villanoviani quei primi colonizzatori confondendoli con le popolazioni
aborigene ed altre con le quali i Rasenna condividevano ataviche usanze.
Gonfienti è al centro di queste epiche reminiscenze con le quali concludiamo
questo ciclo di storie. E’ stato già detto come gli assetti delle città
etrusche fossero ben pianificati, ordinati secondo un rigoroso schema
matematico derivante dall’osservazione dell’Universo [“CuCo”, 253, p.
13] e dall’arte divinatoria che si esercitava attraverso i codici haruspicini, fulgurales e rituales. Analizzando gli antichi
insediamenti, pur non conoscendo le arcaiche liturgie, si hanno
conferme di quelle “speciali” attitudini nel costruire le “città dei vivi” e le
“città dei morti”, a cominciare dalla mai casuale dislocazione dei santuari che
etruschi e pre-etruschi (dalla Cultura del Rinaldone in avanti) fondavano coi
principi della «geografia sacra». Tale disciplina si basava sulla
conoscenza e l’utilizzo dell’energia creatrice della Terra, seguendo gli
orientamenti astrali (o delle divinità cosmiche) duplicati nelle cavità
sotterranee (o delle divinità ctonie). Il bronzeo “Fegato di Piacenza”
(IV-III sec. a.C.) ci mostra la suddivisione della volta celeste nel mondo
etrusco nella maglia di partizioni teocratiche geo orientate alle quali gli
aruspici si rapportavano. Il microcosmo etrusco ruota alla ricerca
dell’Armonia, simbiosi tra natura e artificio, per riprodurre in Terra quello
che si muove in Cielo e che si rigenera nel grembo della Madre Terra. L’Etrusca
Disciplina era in grado di captare le fonti energetiche e di imbrigliarle entro
precisi confini fisici (inter amnes,
nelle paludi e nei bacini lacustri, intorno alle sorgenti delle alture coniche
e biconiche o “lunate”, nelle sinuosità di fiumi, laghi e coste marine)
e, laddove tale energia rischiava di disperdersi, si erigevano
terrapieni, recinti circolari in modo da contenere i flussi energetici
endogeni, catturando quegli esogeni nell’alternanza del giorno e
della notte, della luce solare diretta e lunare riflessa. L’ager bisentino
di di Gonfienti è da questo punto di vista un luogo emblematico. La
morfologia, l’orografia e l’idrografia di quel territorio rendono percepibili
le connessioni esistenti, qui amplificate dai fenomeni carsici che
omologano l’azione dell’uomo a quella della natura e viceversa (doline,
grotte, anfratti come vie cave, recinti murari, acquidocci ecc.). In
tutta l’Etruria continentale ci sono solo due luoghi, pur nelle diverse
dimensioni, che lasciano intravedere il modello archetipo che riflette il cielo
sulla terra: il Fanum di Bolsena, conclamato santuario di Voltumna, con le
isole Bisentina e Martana, “sacre aiuole” della Dea Madre, emergenti nelle
acque del cratere vulcanico; e il naturale enclave, ancora tutto da esplorare,
della “magica” conca di Travalle dove, al centro di una radura sottratta da
secoli alle acque, spicca una motta gradonata detta Castellaccio e Castelluccio
(castrum sive castellare). Per la
diffusa presenza di strutture megalitiche, di allineamenti, coppelle e
spartitoi l’intera vallecola non può che essere il temenos dell’Offerente: un’area inusitata che si estende dal
crinale del Camerella fino all’acropoli di Poggio Castiglioni, disegnando
un’ampissima cornice circolare interrotta, a sud est, dalla stretta di poggio
dell’Uccellaia che la separa dalla Chiusa di Calenzano e dal massiccio del
Morello. Il focus areale è posto laddove le acque del Marinella e del Camerella
(deviato ad hoc) confluiscono insieme ad altri ruscelli e ad acque risorgive
verso la collinetta artatamente modellata, fatta di terreni e pietre di
antico riporto, sostenuta da cortine di alte muraglie già datate del IV/III
sec. a.C. (fig. 1). L’amena altura, ingentilita oggi da strette balze di ulivi,
delinea una sorta di ziggurat che si eleva per poco più di 20/22 mt. dal
piano mediano di campagna, per una larghezza di 120 e una lunghezza di 240.
Stupisce il tracciamento a terra delle redole e delle profonde canalizzazioni
di drenaggio che la spartiscono in precise porzioni geometriche che si aprono a
raggiera nelle direzioni cardinali della volta celeste (fig. 2), proprio come
nel rituale fegato ovino (v. Carta). Nelle occultate viscere pare
materializzarsi il mito del labirintico mausoleo del Re d’Etruria, citato
ma mai visto da Varrone, descritto tra le fabulae Etruscae da Plinio il Vecchio: “sepultus sub urbe Clusio, in quo loco (Porsina) monimentum reliquit
lapide quadrato quadratum …” (Naturalis Historiae, lib. XXXVI, 91). In
questo sito sono stati trovati innumerevoli reperti litici e ceramici d’epoca
etrusca e romana, questi ultimi da porre in relazione ai resti di una
villa rustica d’epoca imperiale rinvenuta nei pressi della vicina
Villa-fattoria di Travalle dall’esoterico giardino; pur tuttavia, nonostante
questi seri indizi, la curiosità della scienza resta ancor “sospesa” perché
niente ancora si è fatto per approfondire, per essere in grado di
svelare verità nascoste.
Fig. 1_ Riprese a volo d’uccello della motta di Travalle (foto di G.A. Centauro, 2003) |
Fig. 2_ La motta di Travalle vista da Poggio Castiglioni
|
Il Fegato di Piacenza |
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