martedì 9 febbraio 2010

TOSCANA: VOGLIO VIVERE COSì...

"Maxi traffico di rifiuti indagini in Toscana.
L'inchiesta, partita dalla morte di un operaio in un impianto di Scarlino dove venivano trattati rifiuti speciali pericolosi in maniera non corretta, ha permesso di accertare un colossale movimento di materiali altamente tossici. Coinvolte grosse industrie tra le quali la Lucchini.
GROSSETO. Un colossale traffico di rifiuti con grandi nomi dell'industria coinvolti. Al momento, nell'ambito dell'inchiesta, è stato sottoposto a sequestro il laboratorio di analisi di Mantova della Made Hse, appartenente al gruppo Marcegaglia. Un tecnico del laboratorio è agli arresti. Secondo fonti investigative risulterebbe indagato anche Steno Marcegaglia, padre di Emma. Nel laboratorio, secondo quanto emerso dalle indagini, sono stati redatti falsi certificati di analisi sui rifiuti da smaltire provenienti da un'industria siderurgica dello stesso gruppo Marcegaglia di Ravenna. Con i falsi certificati i rifiuti potevano essere destinati a siti non idonei a riceverli, con notevole risparmio sui costi di smaltimento. La maxi operazione partita da Grosseto in seguito all'inchiesta provocata dalla morte di un operaio nell'impianto di trattamento di Scarlino dove vennero trovate centinaia di migliaia di bombolette spry smaltite illecitamente, si sta allargando a mezza Italia: 61 le persone coinvolte, 20 le aziende, 17 i provvedimenti cautelari e 3 i sequestri preventivi. L'operazione "Golden Rubbish", coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Grosseto e condotta dal Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente (C.C.T.A.), ha fermato un'organizzazione dedita al traffico illecito di rifiuti speciali, anche pericolosi, costituita in Toscana ed avente diramazioni in Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Trentino - Alto Adige, Emilia Romagna, Marche, Campania, Lazio, Abruzzo e Sardegna. Il traffico di rifiuti accertato negli ultimi anni è stato stimato in circa un milione di tonnellate, con un lucro di svariati milioni di euro ed un consistente danno all'Erario per l'evasione dell'ecotassa, oltre, naturalmente, ai gravi danni provocati all'ambiente. L'indagine, originata da uno stralcio della Procura della Repubblica di Napoli concernente la movimentazione dei rifiuti prodotti dalla bonifica del sito contaminato di Bagnoli, si è sviluppata in Toscana, individuata quale destinazione finale dei rifiuti. Dalle attività investigative svolte dal N.O.E. di Grosseto (in collaborazione con altri Nuclei del centro e nord Italia) è emerso come la struttura organizzativa fosse imperniata sul ruolo di una società di intermediazione maremmana, proprietaria anche di un impianto di trattamento, la quale, avvalendosi di produttori, trasportatori, laboratori di analisi, impianti di trattamento, siti di ripristino ambientale e discariche, regolava e gestiva i flussi dei rifiuti. Questo avveniva attraverso una sistematica falsificazione di certificati di analisi, formulari di identificazione e registri di carico e scarico al fine dell'attribuzione di codici di rifiuto non corretti, così da poter essere dirottati soprattutto in siti di destinazione finale compiacenti in Toscana, Trentino - Alto Adige ed Emilia Romagna. Come si è detto il giorno della tragedia di Scarlino, la triturazione non corretta di circa 100 tonnellate di bombolette provocò la fuoriuscita di propano producendo una miscela esplosiva pericolosissima che esplose. Furono i Vigili del Fuoco, che per domare le fiamme e bonificare l'intera area, avevano impiegato quasi una settimana di lavoro, a scoprire la situazione e a dare l'allarme ai carabinieri del Noe che accertarono che l'impianto era utilizzato per smaltire illecitamente rifiuti pericolosi, costituiti principalmente da terre e rocce provenienti dalle bonifiche di distributori di carburante. E tutto questo senza che fosse effettuata alcuna operazione di carico e scarico dei rifiuti e di conseguenza senza l'effettuazione di operazioni di trattamento o di inertizzazione utilizzando false certificazioni analitiche. Lo smaltimento di rifiuti pericolosi in discariche per rifiuti non pericolosi, permetteva l'abbattimento dei costi di gestione e, in parte, l'elusione dell'ecotassa. Altro filone investigativo è quello che riguarda una industria metallurgica di Ravenna che aveva la necessità di smaltire un cumulo di quasi 100.000 metri cubi di rifiuti, stoccati in un'area interna allo stabilimento. Il cumulo di rifiuti era stato provocato da lavori di sbancamento effettuati nel corso di vari anni e contaminato da mercurio, idrocarburi e da altri inquinanti. Analoga situazione è stata accertata a Trieste, dove si è svolta l'intermediazione e l'individuazione di siti di smaltimento dei rifiuti provenienti dallo stabilimento di un'industria siderurgica, classificato quale sito di bonifica di interesse nazionale. I rifiuti venivano solo parzialmente smaltiti in discariche, classificandoli sempre con codici non pericolosi, mentre la maggior parte venivano stoccati all'interno dello stabilimento, realizzando vere e proprie discariche abusive. Rifiuti che venivano miscelati tra di loro al fine di abbassarne i parametri di pericolosità e, attraverso campionamenti non rappresentativi e la compiacenza di intermediari e di siti di smaltimento, venivano inviati ad impianti non idonei a riceverli, sempre con lo scopo di risparmiare notevolmente sui costi di smaltimento finale. La reazione della Lucchini La Lucchini intanto, dopo che la procura ha disposto gli arresti domiciliati per il direttore dello stabilimento siderurgico di Servola, Francesco Rosato, e per il responsabile Ecologia ed Ambiente, Vincenzo D'Auria, ha ricordato che "si tratta di un'indagine avviata alcuni mesi fa dai Noe di Grosseto su tutto il territorio nazionale" ed è in relazione "ad un ipotetico traffico illecito di rifiuti che coinvolge numerose industrie italiane". Attraverso i suoi legali, la Lucchini - continua una nota - "ha immediatamente fatto istanza di riesamina del provvedimento, certa della assoluta estraneità dei suoi dirigenti coinvolti, loro malgrado, in un'indagine che chiama direttamente in causa società regolarmente autorizzate, alle quali la Lucchini e numerose altre imprese italiane hanno affidato i servizi di smaltimento dei rifiuti". Smentito infine dall'azienda che che vi siano altri collegamenti con l'attività produttiva dello stabilimento di Servola e ha precisato "che ulteriori notizie pervenute agli organi d'informazione sono del tutto infondate". ("Il Tirreno", Federico Lazzotti, 9 febbraio 2010).
Per approfondimenti del caso si consiglia la visione del video:

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