Da quando sono tornata qua, è stato il mio primo comandamento: non emigrare. Viaggiare sì, stare anche tanto fuori da questo nostro misero paese, ma non emigrare.
Ho vissuto all'estero, so cosa significhi. Ci ho vissuto in tempi in cui in Italia, diciamo così, si stava benino.
Ho mangiato pane e solitudine, umiliazioni, stanchezze. Razzismo. Eppure ero così giovane, così forte. Certo, stando fuori si imparano tante cose, ci si immunizza a questa solitudine culturale, esistenziale, si diventa tosti.
Così non sono più emigrata, e non emigrerò. Nonostante tutte le difficoltà, le ristrettezze economiche e le umiliazioni di questi ultimi anni.
Il teatro, si sa, anche quando non fa politica, è politico, non fosse altro perché si confronta sempre con le istituzioni, le direzioni artistiche, gli assessorati alla cultura. Mostri disumani.
Nel nostro ambiente conta solo l'appoggio politico, il nepotismo, la ruffianeria. I teatri sono pieni di gente così, che addirittura ricevono stipendi, hanno posti fissi grazie ai voti che portava il babbo al partito, oppure attricette che non valgono nulla, eppure calcano i grandi teatri, e sono acclamate.
Direttori artistici che nemmeno a parlarne, assessori alla cultura inqualificabili, che non rispondono se li chiami. Devi essere della loro area; prima di farti lavorare, devono capire di che area sei.
Non parliamo degli organi di informazione, poi. Dei giornalisti televisivi che si occupano di cultura, che fanno servizi solo ad artisti o teatri con cui sono legati con palese conflitto di interesse...
Anche la Toscana felix è piena di gente così, che non ti fa lavorare, che ti disprezza, o che ti invidia. Che ti umilia tutti i giorni.
Di quale lavoro parliamo?
Eppure non emigrerò, e continuerò a lottare per avere quello che mi spetta. E per lavorare qui non basta ricevere premi, se vuoi dare dignità a ciò che fai e rimanere una testa pensante.
Cosa che le istituzioni e quasi tutti i politici non vogliono che tu faccia.
venerdì 31 maggio 2013
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