L'affresco di Jan Van der Straet, detto Giovanni Stradano, con la veduta della Rocca di Montemurlo |
del Prof. Giuseppe Centauro (1)
Leggendo su “La Nazione” di oggi l’allarme
dei cittadini di Montemurlo per il crollo della cinta muraria della Rocca di
Montemurlo, siamo assaliti una volta di più dallo sconforto per lo stato di
degrado nel quale giacciono i nostri monumenti, lasciati al loro ineluttabile
destino senza che questa colpevole circostanza ricada sulle teste di qualcuno.
Soccombiamo così all’entità del dissesto che interessa i nostri beni culturali
e il paesaggio da tutelare. Già
perché, la Rocca di Montemurlo, o meglio la “curte et castello” riedificata nel 1066 dai conti Guidi su
precedenti fortilizi etrusco-bizantini, rappresenta l’identità stessa del Mons di Murlo, se è vero che proprio da murulus deriverebbe il toponimo Murlo,
quindi luogo eponimo delle mura castellane. Il castello segna comunque la
nascita di una comunità che si svilupperà dal XII sec. proprio ai suoi piedi,
lungo l’asse della via imperiale romana, conosciuta come Clodia Nova,
tracciante dell’antica via etrusca, dove fu ritrovato il famoso cippo di
Montemurlo. Appare quindi del
tutto evidente che la denuncia dei cittadini riguarda un “bene culturale”, e
non una testimonianza minore, ovvero una risorsa primaria che appartiene a
tutti, ed in primo luogo alla comunità che la custodisce e che, con vero senso
civico, segnala oggi lo stato di degrado e la grande precarietà delle
condizioni. Come sempre accade in questi casi ci sarà qualcuno, amico del
giaguaro, che potrà obiettare che ci sono cose più importanti alle quali
prestare attenzione: del resto cadono le mura di Pompei, le mura Aureliane a
Roma, ed anche alle nostre latitudini si sgretolano le cortine di antiche
torri, di bastioni, di castelli che cedono sono il peso degli anni e
dell’incuria. La lista è lunga, tanto che lo speciale bollettino dei crolli si arricchisce
quotidianamente di nuovi episodi, non altrettanto “fortunati” come la Rocca segnalata
dai cittadini montemurlesi. D’altronde, come si è potuto constare non una, ma
10, 100, 1000 volte trattandosi di un bene culturale che appartiene a tutti,
finisce ai fini della salvaguardia per non appartenere a nessuno. La perdita, o
il rischio di una perdita ancor maggiore, è in realtà grave e grandissimo il
danno procurato se consideriamo che l’autenticità di un monumento
architettonico vive nella sua stessa originaria natura costruttiva e materica
che, una volta compromessa, non potrà mai essere rinnovata o sostituita.
Teniamoci cari questi nostri
preziosi avanzi di storia, curiamoli amorevolmente perché rappresentano la
ricchezza più grande che abbiamo ereditato dal passato, la cui bellezza deriva
proprio dallo loro storia. Lo Stradano, sul finire del XVI sec., dipinse in
affresco il Castello di Montemurlo come un’icona castellare di grandissimo
rilievo, già menzionata come
“superba roccaforte, cinta da due cerchia di mura e munita di torri e un
corridoio fortificato”. A pieno
titolo dunque, questa rocca è stata inserita tra le meraviglie italiane e non
vorremmo mai vederla in futuro rappresentata solo in cartoline d’epoca che ne
ricordano l’antico assetto ormai perduto. Chi deve intervenire lo faccia, e lo
faccia presto, semmai chiedendo aiuto alla stessa comunità insediata, ai
giovani che frequentano le università che possono studiare il caso e elaborare
idee, creando semmai opportunità di ricerca ed occasioni formative, le
amministrazioni pubbliche dimostrino altresì di investire sulla conservazione
con continuità e passione.
Non riduciamo la Rocca ad ennesima
icona del dissesto italico.
(1) Professore
Associato di Restauro Architettonico (Università degli Studi di Firenze)
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