Benigni che promuove il SI al
referendum costituzionale mi permette di fare alcune riflessioni.
Premetto che penso che i comici
debbano occuparsi di politica.
Se non pensassi così smentirei me
stessa e questo blog.
Ho sempre pensato che i comici, i
buffoni d'antan, si devono
proprio occupare di politica, che sia il loro mestiere ma, ahimé, questo
mestiere lo possono svolgere veramente se non sono al servizio di nessuno.
Devono essere indipendenti.
Altrimenti, che comici sono? Che
buffoni sono? Che satira è? La grandezza del comico si misura anche grazie alla
sua indipendenza, oltre che alla sua bravura scenica o alle sue battute.
Quindi non basta fare satira per non
essere cortigiano. Infatti in televisione si vedono comici che fanno una satira
cortigiana, che non è satira; è piaggeria di corte, che solo fa sorridere perché
è detta bene, è buffa. Punto.
Certo, i comici possono avere le
loro simpatie, eccome; esprimerle, prendere posizione, combattere; ma non
devono trasformarsi in cortigiani. Porsi al servizio del signore e delle
signorie, no. Altrimenti perdono la loro natura.
Il buffone può anche lavorare in
qualche corte, ogni tanto. Deve certo campare. Ma tra questo e diventare
cortigiano, ce ne corre.
Ecco, Benigni, da comico è passato cortigiano. In realtà egli lo è sempre stato, dai tempi in cui prendeva
in braccio Berlinguer. Ma noi ce ne siamo propriamente accorti solo quando
Berlusconi è uscito di scena.
E poi prima le corti erano due; ora ce n'è una sola. E' una corte a campi unificati.
Per me egli non è tanto cortigiano
perché ha preso questa posizione per il SI al referendum (è un suo diritto,
acciderbola, e voglio pensare che lui ne sia convinto), ma perché
ora lo si vede sempre passeggiare con i potenti. In Vaticano. Nei palazzi del potere romano. Ai funerali. Tiene
sempre discorsi d'occasione. E' questo che lo rende cortigiano, non il suo
SI.
Nonostante abbia fatto uno
spettacolo sulla 'costituzione più bella del mondo'.
Il problema però non riguarda solo
Benigni. Tutto il sistema dello spettacolo è così, costretto alla
cortigianeria, per cui si può dire che non esistono più comici. O meglio,
esistono, ma non quelli che vedete per esempio in televisione o nei grandi
circuiti teatrali.
Si tratta di un vero e proprio dramma: se non diventa cortigiano, oggi l'artista non è nessuno. Può essere bravissimo, ma non viene fuori, non lo fanno venir fuori. Ci sono schiere di artisti ad aspettare, disposti a entrare a corte; tanto che la corte può anche fare a meno del bravo e far passare bravo chi non lo è.
Insomma, se l'artista non entra a
corte e vi si sottomette, rischia di morire artisticamente. Non viene più chiamato
in televisione, per esempio. E se non va in televisione, non riempie i grandi
teatri. Non fa film eccetera.
Solo a corte egli diventa diventa un
mito; solo se spalleggia e sostiene una parte, un signore eccetera, può fare
film, ricevere finanziamenti, diventare direttore di qualcosa. E
via discorrendo.
Egli diventa famoso; però, allo stesso tempo, si trasforma. Diventa altro. Diventa cortigiano, appunto, devitalizzato, artisticamente morto. Diventa un testimonial. Come ora è Benigni; egli non è più un comico, ma è diventato un testimonial.
Ma non è il solo. Diventare testimonial è la fine degli artisti più famosi, se vogliono restare sul campo.
La quasi totalità del mondo dello
spettacolo e dell'arte conosciuto sui media, il mondo della fama, sta a corte. A
vari livelli, certo. Credo che ci siano solo rare eccezioni a questa regola.
La stessa televisione, forma di
spettacolo, è una corte moderna. Una delle più importanti. Ed è anche impostata
struttural e scenicamente come tale.
Qui i cortigiani sono quasi tutti testimonial. Gli intellettuali, gli artisti vengono trasformati in reclamizzatori di prodotti. In genere prodotti pseudopolitici.
Un esempio semplice: guardate la
trasmissione della Lilly Gruber su Canale 7, 8 e mezzo: alla
corte della regina arrivano sempre o quasi gli stessi cortigiani. Vi circuitano
periodicamente. Certo, lei fa in modo che la corte sia mossa anche da qualche
agitatore patentato, perché questo è il gioco dello spettacolo, altrimenti
annoia. Ma la sostanza non cambia: chi va lì, è autorizzato, sta già
a corte. Non ci sono veri outsider. Sarebbe uno sbaglio fatale invitare un vero outsider.
Non svolgerebbe la sua funzione di testimonial, per cui esiste lo stesso programma.
Per questo non si vedono, o sono
meteore, artisti o intellettuali che arrivano prendere Nobel o Oscar, o
semplicemente diventare famosi se non sono di corte. Scordatevelo. Perché, come
bene ricordò Sartre che il Nobel lo rifiutò, solo se sei strumento del potere
(o puoi diventarlo accettandolo) ti danno quel premio.
Solo se accetti di diventare un testimonial. E' il prezzo da pagare per la fama, il successo, i soldi. Il patto fra Faust e Mefistofele.
I danni politici e sociali, e quindi economici, di tutto questo sistema, a cominciare dalla scomparsa di comici e intellettuali che mettono in discussione il potere, sono disastrosi. Impossibili da calcolare.
Questo dovrebbe essere insegnato nelle scuole e all'università, ma non si può.
Nel passato, dal Dopoguerra fino a trenta quarant'anni fa, forse per gli artisti e gli intellettuali c'è stato un periodo diverso e ci siamo illusi; ma poi alcuni, con la loro indipendenza e spregiudicatezza, hanno dato fastidio e addirittura sono finiti ammazzati o messi di lato e dimenticati.
2 commenti:
Potente, profonda, sconvolgente, evangelica, rivoluzionaria analisi che verra' sempre censurata dai mediatori del regime.
Questi sono gli articoli che dovrebbero venire fuori su La Nazione e Il Tirreno e non le slinguacciate dei minimi comuni multipli.
Maila, SEI GRANDE!
Gianfelice D'Accolti
Ma questi articoli nemmeno su Corrierino e Repubblichina!
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