Cara Maila,
Battaglia
pro kylix,
ma non solo. Infatti, pare di dover chiosare come l’articolo di oggi su “La
Nazione” dimostri molto bene il fatto che adesso sulla questione della
creazione di un Parco archeologico a Gonfienti siano calati pesanti nuvoloni,
tutta la valorizzazione futura del sito pare di nuovo messa “a rischio”;
il preambolo di tutto questo è dato dalla distrazione dei reperti da Prato e
dal loro trasferimento alla Rocca Strozzi di Campi Bisenzio. Con l’annunciata
interpellanza si può ritenere in positivo che finalmente, dopo 10 anni,
si possa riaprire sulla questione dei destini dell’Area archeologica di
Gonfienti un serio dibattito nei luoghi istituzionali. Il caso sollevato con le
distinte richieste di chiarimento da parte di Forza Italia e del M5S, non dovrà
però riguardare solo l’interessamento di una parte della politica perché quanto
sta accadendo a Gonfienti tocca o, per meglio dire, rischia di ledere i diritti
di tutta la comunità insediata, oltre quelli “scientifici e tecnici” che
riguardano gli stessi beni culturali, vuoi paesaggistici vuoi archeologici.
Questi beni appartengon, infatti, alla collettività e - come dovremmo ben
sapere - sono tutelati dalla Costituzione Italiana (ex art. 9 - La Repubblica promuove lo sviluppo della
cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio
storico e artistico della Nazione).
il caso Gonfienti, reso manifestamente
pubblico grazie all’azione coraggiosa del “Gruppo di vigilanza in difesa degli
scavi” attraverso la partecipazione alla “Camminata
per Gonfienti . Marcia Giusta 2” del 16 ottobre scorso, da parte di liberi
cittadini è stata certamente di pungolo per la stampa, anche se qualcuno
sperava il contrario, sbagliandosi di grosso. L’appello esercitato dal gruppo
in modo pacifico e civilissimo ha portato in realtà all’attenzione dei
concittadini, che ancora non sapevano, i diritti negati di cittadinanza ed
appartenenza dei reperti archeologici, sottratti senza alcun reale motivo dal
loro naturale luogo di ritrovamento e di possibile fruizione.
Si badi bene, a rendere ancor più
maldestra questa sottrazione, si rileva come questa sia avvenuta all’indomani
della chiusura di una mostra celebrativa del patrimonio archeologico esistente:
“L’Ombra degli Etruschi “
in Palazzo Pretorio. Per altro , la comunicazione dell’arbitrario trasferimento
è stata resa nota in modo assai frettoloso, senza alcun confronto con la città
di Prato, tenuta estranea dalla vicenda come hanno ammesso gli stessi
amministratori. Questa notizia ha anticipato di poche settimane il delicato
momento decisionale dell’acquisto da parte della Regione Toscana degli spazi e
dei sedimi dell’area archeologica, da tempo posta a vincolo di tutela, ma
attualmente ancora di proprietà della Società Interporto della Toscana. Si
tratta di una decisione quella della Regione a lungo attesa, non solo evocata
al tempo delle ultime elezioni, bnesì facendo seguito ai desiderata e alle
volontà già espresse dagli amministratori cittadini in occasione del Convegno
al Pecci del 2006 ed anche ripresa in successivi atti, pur tuttavia sempre
collegata dell’auspicato passaggio a favore del Comune della titolarità dei
suddetti beni che sola avrebbe potuto consentire alla città di creare in
proprio le premesse per la costituzione di un parco archeologico “civico” da
farsi in situ In principio questa idea era corredata dalla proposta di creare
un Antiquarium negli annessi di Villa Niccolini, su questa scelta cadde
però come una mannaia la resistenza, l’opposizione e quindi il rifiuto da parte
della stessa responsabile degli scavi che avrebbe preferito spostare tale
destinazione presso il Mulino, detenuto come laboratorio in comodato gratuito
grazie alla munifica disponibilità della stessa Società Interporto.
Superata questa ipotesi, la creazione del parco e la costituzione al Mulino, in
titolo di proprietà alla comunità pratese, consentirebbe di creare un
Museo Archeologico in situ, magari utilizzando anche il Museo del Pretorio per
allocare i pezzi di maggiore valore artistico, quali la più volte menzionata
kylix, e alla stessa Soprintendenza di esercitare al meglio il proprio ruolo,
senza più dover chiedere al controllato (Società Interporto) di
finanziare le ricerche di scavo, sviluppando serenamente i propri compiti
istituzionali di ricerca attiva e di tutela avendo come interlocutore un
partner pubblico (Comune di Prato). A tale riguardo non si capisce proprio
perché mai la Regione dovrebbe cedere al demanio statale ciò che viene ad
acquistare che è già in salvaguardia (ex lege 42/2004), con il solo
risultato di ingabbiare o inibire ogni iniziativa di valorizzazione della
comunità locale. La Soprintendenza potrebbe altresì riprendere senza affanno
gli scavi sui terreni comunali.
Alla luce di queste osservazioni il
caso che ora si pone sta assumendo una rilevanza non solo locale o
regionale, oserei direi nazionale se solo questa storia rimbalzasse nella aule
di Montecitorio.
GAC
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