venerdì 28 giugno 2019

TeatrOrto, anche un laboratorio di teatro “magico”.



TeatrOrto, sarà il nome della prossima stagione teatrale a la Baracca, ma anche un laboratorio di teatro “magico” e naturale.
Inizierà a ottobre prossimo.
Si potrà partecipare tramite una semplice domanda e breve curriculum, a un costo accessibile per tutti. Sono previsti un massimo di 20 partecipanti.
Chi fosse interessato ad avere informazioni su questo percorso di teatralità magica, alternativa ed ecologica, può scrivere a labaracca@tin.it oppure teatrolabaracca@gmail.com.


lunedì 24 giugno 2019

Riportiamo i reperti etruschi a Gonfienti


Secondo comunicato dell'Osservatorio Permanente sull'Area Archeologica Pratese.

Condivido questo appello dell'Associazione Ilva/Isola d'Elba- Via Etrusca del Ferro, di cui faccio parte e scritto dal Prof. Centauro, per riportare i reperti etruschi a Gonfienti.
La condizione disastrosa della Rocca Strozzi di Campi Bisenzio, così come riportato anche dalla stampa ieri, ma come avevamo già documentato nel corto "Gonfienti, metti una sera un viaggiatore...", allontana la possibilità di una apertura del museo etrusco in quella sede: e dunque perché non riportarli a Gonfienti, che è il suo luogo naturale?

Approfitto per dire che durante l'ultimo sopralluogo nei pressi dell'area archeologica, circa una settimana fa, fonte attendibile ha informato che i terreni davanti all'ingresso degli scavi, fra la Perfetti Ricasoli e via delle Confina, sono arrivati a un prezzo di mercato esorbitante (circa 100 euro al m2), ché evidentemente si presume l'edificabilità della zona.
E' difficile aprire al pubblico l'area archeologica e intraprendervi nuovi scavi, se ne suoi pressi si vogliono costruire altri capannoni!


ASSOCIAZIONE “ILVA/ISOLA D’ELBA” – VIA ETRUSCA DEL FERRO”

Riportiamo i reperti etruschi a Gonfienti

L’articolo apparso in data 23 giugno 2019, su La Nazione (Cronaca Campi Bisenzio - Le Signe) dall’eloquente titolo “La Rocca Strozzi deve essere salvata” certifica quello che da tempo è sotto gli occhi di tutti, ovvero il grave stato di degrado nel quale si trova il monumento campigiano, dopo che dal 2006 è stato abortito il progetto di restauro dell’intero complesso essendo intervenuti al solo recupero della vecchia tinaia che sarebbe dovuta divenire uno spazio espositivo per la città. L’incombente pericolo di crollo del torrione nord-ovest della rocca rende oggi persino a rischio quella struttura già restaurata che, in ultimo, avrebbe dovuto ospitare, fin dal settembre 2016, i reperti etruschi provenienti tra gli altri dagli scavi condotti nell’area dell’Interporto di Gonfienti, in virtù di un accordo Regione Toscana - Soprintendenza Archeologica della Toscana e Comune di Campi Bisenzio.
Oggi viene ventilata, dopo un’interruzione di 12 anni, la ripresa degli scavi a Lotto 14F, dove tra il 2003 e il 2006 furono portate alla luce le fondamenta di un grande complesso edificato di oltre 1440 mq. di superficie, con ricchissimi corredi artistici di grandissimo valore, come una stupenda kylix, a figure rosse, attribuita dagli esperti a Douris, ceramografo principe dell’arte vascolare attica. Proprio questo straordinario pezzo avrebbe dovuto essere il pezzo forte dell’esposizione alla tinaia della Rocca Strozzi; tutti gli studiosi e il mondo accademico nazionale e internazionale aspettavano questa occasione per studiare la peculiare contestualizzazione tra il palazzo di Gonfienti e quest’opera d’arte degli inizi del V sec. a.C.
Adesso appare del tutto evidente che questo museo non potrà farsi almeno finché la Rocca non sarà messa in sicurezza e restaurata.
L’Associazione “Ilva-Isola d’Elba” da anni sta conducendo un’azione di sensibilizzazione e di informazione intorno al sito archeologico bisentino che in questi anni, a cura della stessa associazione, è stato oggetto di ricerche e pubblicazioni che hanno portato alla ribalta nuove importanti interpretazioni sull’origine della grande domus, riconosciuta essere una tempio etrusco, costruito secondo i canoni vitruviani.
Preso atto della situazione contingente l’Associazione fa appello alle autorità competenti affinché i reperti vengano quanto prima riportati nel luogo di appartenenza, come era stato indicato a suo tempo dal Comune di Prato e come era logico aspettarsi, per rendere fruibile insieme all’area di scavo anche tutti i pezzi restaurati provenienti da essa, come si conviene ad una moderna visione della valorizzazione integrata dei beni archeologici.


Giuseppe Alberto Centauro

Teatro all'italiana

Con teatro all'italiana ci si riferisce certamente all'edificio teatro, che così sapientemente duchi e principi dell'Italia disunita rinascimentale innalzarono per dar lustro alle loro corti, e che si confaceva a un certo tipo di drammaturgia di tradizione antica, ma in particolare moderna, appunto cortigiana. Un teatro di diletto e di vetrina.

Teatro all'italiana nella corte, nel 'centro' della città, teatro in costume, teatro di maniera. Questo è ancora quasi tutto il nostro teatro, teatro finanziato e di reggimento, a parte qualche parentesi d'avanguardia ormai definitivamente defunta, che certi direttori di lungo corso cortigiano rifilano in programma ma condito da tanto nome con fama televisiva... A Firenze sicuro è l'unico teatro che si vede,  quello all'italiana, dove ancor non smettono di recitare mandragole e commediacce en travesti; o a Venezia, dove le maschere ancora la fanno da padrone.
Teatro cortigiano, teatro buono per una sera per ridere e stare al fresco in un cortile che fu dei signori del tempo andato, dove si ammira il guitto d'eccezione e gli si dice "bravo, bravo". Che tanto conforta e tiene lontane le riv(e-o)luzioni!

Il teatro in periferia è visto al contrario come fumo agli occhi, teatro senza cornice, teatro antiborghese, teatro 'lontano', rischiosamente anti-cortigiano.

Teatro povero! Omamma, oiccheccifailaggiù?

Per tradizione incancrenita agli italiani, e forse soprattutto agli attori italiani, piace così tanto l'edificio teatro, o recitare in una corte, o in un palazzo, ché hanno l'impressione di essere nel centro, essere nel fulcro del quibus culturale, lusingati e tenuti in gran conto dal loro dio Narciso oltre che dai vari principi assessori (a quando l'istituzione del diritto di ereditare la carica?), quando invece non sono che servi di scena, anche se recitano bene.

Non stupisce che professori di antico corso e colleghi approfonditi nell'arte di Talia e quanti altri denigratori dell'ultim'ora da sempre, da che è nato, amino, se non dileggiare, sminuire il mio piccolo teatro periferico (come altri pochi esistenti di simil fatta nella melma italica), ché non si trova dentro le mura, anzi ne è distante sei chilometri, e veramente non si capacitano come si possa praticar arte drammatica e così ostinatamente in cotale spazio, in mezzo agli orti!, e senza essere servi di scena di nessuno.


domenica 23 giugno 2019

Il commento su "Ne parlo con Malaparte"

Ieri sera abbiamo replicato il mio "Ne parlo con Malaparte" a Palazzo Datini a Prato.
E' stato per me faticosissimo, vengo da giorni pesanti, e per giunta all'arrivo eravamo stati accolti da una tempesta tropicale che aveva reso tutto più difficile.

Mi ero dimenticata di portare il solito "Libro del gradimento" (che ci segue come una specie di portafortuna), e quindi abbiamo messo dei fogli.

Dopo lo spettacolo, il dibattito (solo fuori Prato si riesce ad evitare ormai, e dove è emerso qua e là il solito fanatismo cieco nei confronti di Curzio!), e quindi non mi aspettavo di trovare scritto alcun commento.
Ma quando sono andata a riprendere i fogli ho visto che qualcuno (che si è firmato solo con la mail), ne aveva lasciato uno. E che commento!: "Questo è il teatro che mi aspetto di vedere".

Io lo ringrazio pubblicamente, mi ha davvero ripagato della fatica e dell'amarezza di vivere in una città (ma ce n'è un'altra diversa?) dove non cambia nulla, dove il potere occulto è radicato, e la prospettiva politica dei prossimi cinque anni è, ancora una volta,  l'immobilismo,  affari e intrighi dei soliti "amici".


venerdì 21 giugno 2019

"Ne parlo con Malaparte" a Palazzo Datini

Torna Ne parlo con Malaparte (Dialogo impossibile sopra "Tecnica del colpo di stato"), sabato 22 giugno ore 21 a Palazzo Datini. L'ingresso è libero. 
L'articolo sotto, che riguarda le attività a casa Datini nel fine settimana dedicate a Curzio, è de "La Nazione" di oggi, cronaca di Prato. 


giovedì 20 giugno 2019

Il ping-pong della politica

Eccone un esempio.
Montanari, storico dell'arte che abita a Sinistra, tuitta che Zeffirelli, or morto da poche ore, era un regista kitsch, oltre che berlusconace.
Aggiunge, da buon fiorentino, una noticina contro Donna Oriana. E cita a suo sostegno Flaiano il bizantino, che chiamava il defunto, Scespirelli. Oltre a evocare l'immancabile La Pira, pronto a levarsi dalla retorica dell'aldilà.
Salvini, Gran Capitano delle Chiuse, feisbucca piccato che 'sto Montanari si deve dimettere,  a causa di cotanto giudizio, da tutte le cariche pubbliche, facendo squittire il mi piace social-collettivo di tanti suoi seguaci avvelenati, che sì possono dar stura alla rabbia quotidiana.
Ecco il giochetto del potere che si rimbalza la pallina, e tu cittadino spettatore, muovi la testa da destra a sinistra, da sinistra a destra, proprio come nel ping pong, gioco frenetico eppure immobile.
Non ti resta che questo, oltre alla pizza del fine settimana.
Di solito finisce pari e patta, e si passa ad altro gioco.

mercoledì 19 giugno 2019

Grosseto e l'eliofania

Nonna Ada Benvenuti, mamma del babbo, diceva che il nome Grosseto - nella cui provincia il nonno cacciatore la costringeva ad andare spesso - deriva dal fatto che là si soffre la grossa sete, perché fa sempre caldo, estate e inverno.

Etimologia popolare del toponimo (quella scientifica è incerta); però, leggendo il calendario di oggi verrebbe da sospettare: la provincia di Grosseto sembrerebbe essere una delle zone più calde d'Italia…

lunedì 17 giugno 2019

E' morto il custode dei misteri etruschi, Giovanni Feo

Pubblico qui una bella presentazione dell'etruscologo Giovanni Feo, datata 2014, non mia.
Giovanni, scopritore del sito di Poggio Rota, la Stonehenge italiana (1), è morto ieri.
Personalmente l'ho conosciuto attraverso i suoi libri e credo, anzi sono sicura,  di averlo incontrato una volta a Pitigliano, or sono alcuni anni. E pochi giorni fa ci avevo parlato in collegamento telefonico,  insieme ad amici, durante una riunione dell'associazione Ilva Matrix,  e la sua voce era affaticata, ma il suo spirito, si capiva, ancora molto forte e determinato nella ricerca e tutela della sapienza antica. 

Giuseppe Centauro, Dante Simoncini, Giovanni Feo.
Foto di GAC.


Forse anche in materia di spiritualità vale il detto l’erba del vicino è sempre la più verde. È infatti curioso constatare il grande fascino che riscontrano alcune culture e antiche civiltà a noi più lontane – non solo in termini di tempo ma anche di spazio – mentre passa quasi inosservata quella etrusca.L’Italia è stata infatti la culla di una civiltà meravigliosa, della quale ancora oggi la maggior parte di noi non sa nulla o quasi nulla. Relegato a poche pagine sui libri di testo scolastici, lo splendore del popolo etrusco giace in gran parte ancora offuscato, forse perché la nostra cultura di appartenenza si identifica più facilmente con quella degli antichi romani (non a torto, in effetti) o forse semplicemente per carenza di informazioni facilmente reperibili. Rimane il fatto, comunque, che la civiltà etrusca continua a rimanere in molti casi quasi sconosciuta. Eppure, è proprio da tale cultura che l’antica Roma ha ereditato gran parte del sapere che l’ha resa celebre al mondo.Tra i pochi libri sull’argomento, spiccano come voci fuori dal coro le numerose pubblicazioni di un autore: Giovanni Feo. I suoi scritti sono difficili da definire, districandosi con eleganza e rigore metodologico attraverso analisi archeologiche, astronomiche, osservazioni antropologiche ed interpretazioni simboliche. Dalle sue parole emerge inoltre una rara sensibilità ed una passione non comune per le sapienze antiche.Decidiamo così di contattarlo, anche se l’impresa si rivela più ardua del previsto dato che non compaiono da nessuna parte i suoi contatti personali. Ci avventuriamo allora direttamente nel cuore delle terre etrusche: Pitigliano, Sorano e Sovana. Dopo alcune peripezie e grazie a un pizzico di audacia, finalmente riusciamo a metterci in contatto con lui e successivamente ad incontrarlo.Il suo riserbo è esemplare ed ammirevole in un’epoca come la nostra, in cui vige la moda di inondare il web di sovrainformazioni sul proprio conto. Feo non è presente sui social network, non possiede un indirizzo email personale né un numero di telefono cellulare. Nonostante ciò, conoscendolo di persona e vedendo la vita che conduce, si può immediatamente constatare come sia impossibile definirlo una persona “fuori dal mondo”.Tra le sue molte ricerche ed intuizioni, mirate ad approfondire la conoscenza del territorio etrusco e pre-etrusco, è degno di nota evidenziare che nel 2005 ha scoperto e segnalato alla Sovrintendenza un sito di straordinaria importanza: l’osservatorio astronomico di Poggio Rota (GR), considerato a tutti gli effetti lo Stonehenge italiano. Ma le sue scoperte ed intuizioni vanno ben oltre.Giovanni ci accompagna così a visitare alcuni tra i più importanti siti sacri degli Etruschi: Via Cave, grotte, poggi e siti astronomici – molti dei quali letteralmente invisibili alle rotte turistiche – illustrandoci non solo le particolarità storico-archeologiche, ma anche le evidenti analogie con un processo di risveglio interiore che si nasconde potenzialmente in ogni essere umano. Il suo approccio verso questi argomenti è delicato e prudente, attento a lasciare sempre aperta la porta a nuove interpretazioni e visioni.Mentre da una parte si rimane turisticamente sconcertati dall’inesistente valorizzazione delle aree etrusche che Feo ci porta a visitare, la contropartita è che questi luoghi si possono ancora assaporare nella loro originaria tranquillità sacra. Cosa non da poco.Eppure la palese indifferenza degli enti locali verso la ricchezza del territorio conduce verso amare considerazioni. Lo stato di abbandono di molte aree è evidente ed allarmante. Lo stesso Feo afferma che nell’arco di pochi anni molti siti potrebbero divenire totalmente inagibili per via delle ultime alluvioni e dell’incedere della vegetazione. Lui, per come può e grazie all’aiuto di altri preziosi amici del luogo (con i quali ha fondato l’Associazione Culturale Tages), cerca di contenere il più possibile l’azione deleteria del tempo.“Quando scopri qualcosa di importante, di sacro, ne divieni personalmente responsabile, e non puoi più assistere alla sua rovina senza cercare di fare concretamente la tua parte nel tentativo di tenerne vivo lo spirito”, afferma Giovanni. Pur essendo difficile da comprendere per l’ordinaria mentalità secondo la quale ogni azione deve prevedere un ritorno in termini di vantaggio personale, è proprio sul principio della “responsabilità” che lui ha fondato gran parte della sua vita. Libero da ogni sorta di compromesso, si è lasciato guidare dal richiamo di una terra enigmatica quanto affascinante che lo ha condotto a confrontarsi con i misteri di una civiltà sommersa, e che lo ha posto di fronte al mistero della vita: da dove veniamo, chi siamo e dove stiamo andando.“La vera Archeologia dovrebbe identificare un percorso di indagine e scoperta del territorio che avanza di pari passo con un’indagine e scoperta di se stessi”, ci tiene a precisare Feo, che non incarna sicuramente la figura dell’archeologo che effettua le sue considerazioni standosene seduto dietro ad una scrivania, nè si accontenta di studiare la storia ed analizzare i reperti; con sempre rinnovata curiosità e passione si affida ad una ricerca multidisciplinare che non vede distinzione tra il campo scientifico e quello spirituale (anche perché, in effetti, questa distinzione non è mai esistita in antichità).“L’umanità moderna ha oscurato e rinnegato le tante acquisizioni dei nostri antenati, vissuti presso civiltà prosperate per millenni che, nel bene come nel male, hanno tracciato la strada che ha portato all’attuale situazione. Un percorso che non si può ignorare o sottovalutare.” [*] Risulta evidente infatti che la nostra mentalità moderna (non per questo più evoluta) differisca moltissimo da quella antica (per nulla limitata). Essa per essere compresa necessita di un coraggioso rovesciamento di prospettiva e il sacrificio di un certo “orgoglio culturale”: non è possibile ammirare i colori di un campo di fiori osservandoli con ostinazione attraverso una telecamera in bianco e nero.La forza che muove e mantiene in vita la mentalità attuale è di carattere razionale e utilitaristico. Nell’antichità questi due aspetti non erano certo estranei ma tenuti decisamente in secondo piano, e il motore primario rientrava nell’ambito dell’intelligenza intuitiva e del senso del sacro.“Le antiche civiltà vengono considerate ancora con un giudizio moralistico: non evolute, inferiori, superstiziose e primitive. Un simile giudizio viene emesso perché si ritiene che la nostra sia la civiltà migliore, la più evoluta. Ma tutti questi giudizi è evidente che non sono affatto scientifici e obiettivi, sono semplici pregiudizi.” [*]Attraverso i percorsi etruschi, Giovanni ci invita a riflettere e a toccare con mano la superficialità – spesso comica – di alcune teorie sull’utilizzo di particolari luoghi sacri. In un’epoca come la nostra, dove la maggior parte delle risorse economiche e di tempo vengono investite per generare ulteriori attività redditizie, sembra impossibile che nel passato alcuni popoli abbiano potuto “spendere” le loro energie nella creazione di complessi monumentali tanto geniali quanto apparentemente inutili.Uno tra i tanti esempi è l’ipotesi secondo la quale le Vie Cave (suggestivi camminamenti sacri scavati nel tufo) potessero servire come vie di fuga in caso di invasioni belliche. Non vi è in realtà nessun elemento in grado di confermare questo utilizzo ma, al contrario, da una tale prospettiva le stesse Vie avrebbero potuto rendere molto più facili gli eventuali attacchi. È chiaro che ogni tentativo di far conciliare gli antichi significati con quelli attuali non potrà mai svelarne i reali misteri.“Le antiche civiltà si focalizzarono nel comprendere l’essere umano e l’ambiente dove viveva, questo era il grande mistero da esperire. Con l’avanzare del progresso tecnologico il paradigma cognitivo venne invertito: invece di porre il mistero della natura umana al centro di tutto, fu accentrata l’attenzione sullo studio degli oggetti prodotti dall’uomo, i suoi strumenti e le varie tecniche e forme da lui create. Ebbe così inizio l’era tecnocratica dove ciò che è predominante sono i prodotti, i modi (= moderno) e le apparenze; e non più l’essere umano, la sua autentica e invisibile essenza e ciò che è oltre le apparenze.” [*]  Ciononostante, Feo non è certo un sognatore nostalgico di un’epoca d’oro ormai scomparsa, e non si fa promotore di un ritorno al passato. Il suo sguardo è rivolto al cielo ma i suoi piedi sono ben ancorati a terra. Non gli piace idealizzare oltremodo l’antichità, riconoscendone comunque alcuni limiti evidenti, ed osserva con fiducia le potenzialità (coscienziali) dell’essere umano attuale. Indubbiamente gli Etruschi avevano però una percezione più fine e sottile della realtà circostante, e probabilmente custodivano il grande segreto della vita. “Il grande segreto? Certo che esiste. Riguarda la vera natura dell’essere umano: sapere chi sono, sapere chi siamo. Questa conoscenza è al centro di tutto. Ma è stata snaturata da coloro che tale conoscenza l’hanno solo parzialmente compresa, usandola come strumento di oppressione e di controllo sugli altri.” [*]Si tratta dunque di recuperare gli antichi saperi per integrarli con la coscienza di oggi, dentro se stessi, una questione seria e delicata più di quanto spesso si possa immaginare. Naturalmente non si può relegare questo genere di indagine solo ad una serie di letture o ad una serie di visite turistiche nei luoghi sacri. Si tratta di dedicare la propria intera vita a questa ricerca, di trasformare la propria quotidianità in un territorio sacro da esplorare e da rispettare.È inoltre interessante il fatto che Giovanni Feo abbia stretto diversi anni fa un legame con l’antropologo e maestro sciamano Don Juan Nunez del Prado, il portavoce della tradizione degli antichi Inca (la sua storia meriterebbe una trattazione a parte, di cui una breve sintesi qui) e con il quale ha fondato l’Associazione Tawantin.Giovanni e Don Juan hanno fin da subito colto una reciproca affinità di percorso, una sottile sintonia, riscontrando peraltro molte affascinanti analogie tra la tradizione andina e quella etrusca, individuando ancora una volta quel filo d’oro che si può ritrovare nell’essenza di qualsiasi corrente iniziatica.“Il luoghi sacri di età etrusca furono infatti scelti per le specifiche qualità energetiche e ambientali di ciascun sito, in vista di azioni rituali che propiziassero quel “cambiamento” di livello di coscienza e quindi la connessione con un più ampio spettro percettivo. A tal fine furono modificati ad arte alcuni speciali luoghi della natura.Si tratta di opere e monumenti del tutto trascurati e sottostimati dagli studi accademici, principalmente perché non inquadrabili nella rigida logica del pensiero razionale e materialista oggi dominante.Ma allora è necessario saper liberare la mente da sovrastrutture e pregiudizi, e con ricettiva sensibilità percepire il senso di segni e simboli di una sapienza arcana che, certamente, appartenne a tutte le antiche sapienze, non soltanto quella etrusca.Oggi si può di nuovo comunicare con le voci di questi luoghi; occorre anzitutto superare la ritrosia e la vergogna dovute secoli di condizionamento razionale e scientista. Serve mettere da parte quella importanza di sé, frutto di esasperato individualismo, che continuamente ci impedisce di pensare ad altro che a noi stessi. Serve, inoltre, a far tacere il continuo chiacchierio mentale che distrae da ogni cosa e arrivare al silenzio, la mente quieta e tacita, per ascoltare quello che la Grande Natura può rivelare.” [*]Giovanni Feo, con una rara (e concreta) profondità e una volontà inesauribile, veglia sulle testimonianze dei nostri avi cercando di mantenerne vivo lo spirito anche nella nostra epoca. Ogni nostro incontro con lui è sempre ricco di nuovi stimoli e sollecitazioni per rivisitare riflessioni ed esperienze, dove si sente palpabile che l’essenza dello stare insieme genera qualcosa che non è assimilabile alla somma delle parti. Per noi averlo conosciuto è stata una grande opportunità per arricchire e approfondire antiche e affascinanti conoscenze, ma ancor di più è stata un’occasione preziosa, perché abbiamo trovato un amico sincero sul Cammino. (Associazione Per-Ankh)

Da https://forum.termometropolitico.it/691104-il-custode-dei-misteri-etruschi-giovanni-feo.html
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[*] Le citazioni sono tratte dal libro “Lo spirito segreto del territorio” (Intermedia Edizioni) e dal Quaderno n. 10 dell’Associazione Culturale Tages.

(1)  Per Poggio Rota, si può consultare questa pagina: https://archeotime.com/2015/06/16/poggio-rota-la-stonehenge-italiana/ o il sito dell'associazione Tages, fondata dallo stesso De Feo, http://www.tages.eu/

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Per approfondimenti su Giovanni Feo, si guardi il documentario sul lago di Bolsena intitolato I quattro incantesimi: https://vimeo.com/295377234. 
In attesa del quinto incantesimo, che dovrebbe toccare a noi!


domenica 16 giugno 2019

Nasce l'osservatorio permanente sull'area archeologica pratese


Una giornata importante. Dopo aver svolto il "solito" sopralluogo davanti all'ingresso della domus di Gonfienti e ritrovato il nostro visitatore, Spaisà (oltre che tutto come sempre immoto e abbandonato), siamo venuti a conoscenza di alcune novità che vi svelerò nei prossimi giorni.
Intanto nasce questo osservatorio permanente sull'area archeologica, e presto cercheremo di organizzarci meglio.

Il video è indirizzato in primo luogo al prossimo assessore alla cultura del comune di Prato e, ca va sans dire, a Regione e Soprintendenza.

venerdì 14 giugno 2019

Metastasio, un teatro scollegato dalla città

Ieri il gotha del Metastasio ha presentato il cartellone della prossima stagione teatrale 2019/20.

Certamente è un teatro che è ormai scollegato dalla città, nel senso che non considera i suoi artisti né comunica con loro.
Da questo punto di vista assessore alla cultura e sindaco se ne sono ben lavati le mani in questi anni, e hanno fallito la loro missione di valorizzazione del "locale".
Ma questo non interessa quasi a nessuno. C'è solo molto mugugno fra i colleghi (e  son volati anche gli stracci, qualche tempo fa, a porte chiuse!), ma si sa, essi poi non parlano, perché temono scomuniche e diminuzione di ingaggi.

D'altronde il teatro comunica nemmeno con il pubblico, nonostante le "trovate" per l'allestimento (il casco di sicurezza color giallo con la scritta MET donato ai presenti), che ha fatto da sfondo alla presentazione stessa -  a questo serve la città, un fondale!  - e i numeri snocciolati.

Il fatto poi che le aperture di sipario siano aumentate non significa davvero che siano aumentati gli spettatori. 

"Franco D'Ippolito dichiara che rispetto all'edizione precedente le aperture di sipario sono state il 10% in più e segno più anche per gli spettatori che sono aumentati complessivamente del 15% così come gli incassi: saliti del 26%." (Il Tirreno).

giovedì 13 giugno 2019

La Montedison per una lucciola

Copio qui il famoso articolo di Pasolini sulla scomparsa delle lucciole, che testimonia non solo il suo impegno ambientalista (allora era uno dei pochi!), ma anche la definizione del nuovo fascismo, non più legato al periodo storico del Ventennio, ben definito, ma alla contemporaneità, e che ci permette di riflettere sul nostro, un fascismo ben più raffinato ed evoluto se comparato al tempo in cui scriveva Pasolini, anche perché tecnologico.
Rispetto al 1975 l'ambiente è del tutto compromesso, come è compromesso il sistema politico ed economico che lo ha irrimediabilmente guastato. Ovunque.
Tutti noi siamo complici e artefici del disastro, ma ancor di più chi, a qualsiasi livello, ci ha governato e ci governa, con la solita spocchia, con la solita arroganza, con la solita cattiva coscienza di corruttori e corrotti.
In più a tutti è stato concesso lo strumento che amplifica la spocchia e il dominio, lo smarphone, uno degli oggetti più inquietanti-inquinanti che esistano, come il computer da cui scrivo insieme alle veloci macchinuzze che tutti compriamo usiamo e buttiamo a go go, roba che viene prodotta e originata in un contesto disumanizzato, di totale asservimento e brutalità, e non solo in Oriente.


Corriere della Sera, 1 febbraio 1975
"Il vuoto del potere" ovvero "l'articolo delle lucciole"
di Pier Paolo Pasolini

La distinzione tra fascismo aggettivo e fascismo sostantivo risale niente meno che al giornale "Il Politecnico", cioè all'immediato dopoguerra..." Così comincia un intervento di Franco Fortini sul fascismo ("L'Europeo, 26-12-1974): intervento che, come si dice, io sottoscrivo tutto, e pienamente. Non posso però sottoscrivere il tendenzioso esordio. Infatti la distinzione tra "fascismi" fatta sul "Politecnico" non è né pertinente né attuale. Essa poteva valere ancora fino a circa una decina di anni fa: quando il regime democristiano era ancora la pura e semplice continuazione del regime fascista. Ma una decina di anni fa, è successo "qualcosa". "Qualcosa" che non c'era e non era prevedibile non solo ai tempi del "Politecnico", ma nemmeno un anno prima che accadesse (o addirittura, come vedremo, mentre accadeva). 

Il confronto reale tra "fascismi" non può essere dunque "cronologicamente", tra il fascismo fascista e il fascismo democristiano: ma tra il fascismo fascista e il fascismo radicalmente, totalmente, imprevedibilmente nuovo che è nato da quel "qualcosa" che è successo una decina di anni fa. 

Poiché sono uno scrittore, e scrivo in polemica, o almeno discuto, con altri scrittori, mi si lasci dare una definizione di carattere poetico-letterario di quel fenomeno che è successo in Italia una decina di anni fa. Ciò servirà a semplificare e ad abbreviare il nostro discorso (e probabilmente a capirlo anche meglio). 

Nei primi anni sessanta, a causa dell'inquinamento dell'aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). 
Quel "qualcosa" che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque "scomparsa delle lucciole". 
Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma sono diventate addirittura storicamente incommensurabili. La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarlo i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole a oggi. Osserviamole una alla volta.


Prima della scomparsa delle lucciole

La continuità tra fascismo fascista e fascismo democristiano è completa e assoluta. Taccio su ciò, che a questo proposito, si diceva anche allora, magari appunto nel "Politecnico": la mancata epurazione, la continuità dei codici, la violenza poliziesca, il disprezzo per la Costituzione. E mi soffermo su ciò che ha poi contato in una coscienza storica retrospettiva. La democrazia che gli antifascisti democristiani opponevano alla dittatura fascista, era spudoratamente formale. 

Si fondava su una maggioranza assoluta ottenuta attraverso i voti di enormi strati di ceti medi e di enormi masse contadine, gestiti dal Vaticano. Tale gestione del Vaticano era possibile solo se fondata su un regime totalmente repressivo. In tale universo i "valori" che contavano erano gli stessi che per il fascismo: la Chiesa, la Patria, la famiglia, l'obbedienza, la disciplina, l'ordine, il risparmio, la moralità. Tali "valori" (come del resto durante il fascismo) erano "anche reali": appartenevano cioè alle culture particolari e concrete che costituivano l'Italia arcaicamente agricola e paleoindustriale. Ma nel momento in cui venivano assunti a "valori" nazionali non potevano che perdere ogni realtà, e divenire atroce, stupido, repressivo conformismo di Stato: il conformismo del potere fascista e democristiano. Provincialità, rozzezza e ignoranza sia delle "élites" che, a livello diverso, delle masse, erano uguali sia durante il fascismo sia durante la prima fase del regime democristiano. Paradigmi di questa ignoranza erano il pragmatismo e il formalismo vaticani. 

Tutto ciò che risulta chiaro e inequivocabilmente oggi, perché allora si nutrivano, da parte degli intellettuali e degli oppositori, insensate speranze. Si sperava che tutto ciò non fosse completamente vero, e che la democrazia formale contasse in fondo qualcosa. Ora, prima di passare alla seconda fase, dovrò dedicare qualche riga al momento di transizione.

Durante la scomparsa delle lucciole

In questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo operata sul "Politecnico" poteva anche funzionare. Infatti sia il grande paese che si stava formando dentro il paese - cioè la massa operaia e contadina organizzata dal PCI - sia gli intellettuali anche più avanzati e critici, non si erano accorti che "le lucciole stavano scomparendo". Essi erano informati abbastanza bene dalla sociologia (che in quegli anni aveva messo in crisi il metodo dell'analisi marxista): ma erano informazioni ancora non vissute, in sostanza formalistiche. Nessuno poteva sospettare la realtà storica che sarebbe stato l'immediato futuro; né identificare quello che allora si chiamava "benessere" con lo "sviluppo" che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il "genocidio" di cui nel "Manifesto" parlava Marx.

Dopo la scomparsa delle lucciole

I "valori" nazionalizzati e quindi falsificati del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più. Chiesa, patria, famiglia, obbedienza, ordine, risparmio, moralità non contano più. E non servono neanche più in quanto falsi. Essi sopravvivono nel clerico-fascismo emarginato (anche il MSI in sostanza li ripudia). A sostituirli sono i "valori" di un nuovo tipo di civiltà, totalmente "altra" rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale. Questa esperienza è stata fatta già da altri Stati. Ma in Italia essa è del tutto particolare, perché si tratta della prima "unificazione" reale subita dal nostro paese; mentre negli altri paesi essa si sovrappone con una certa logica alla unificazione monarchica e alla ulteriore unificazione della rivoluzione borghese e industriale. Il trauma italiano del contatto tra l'"arcaicità" pluralistica e il livellamento industriale ha forse un solo precedente: la Germania prima di Hitler. Anche qui i valori delle diverse culture particolaristiche sono stati distrutti dalla violenta omologazione dell'industrializzazione: con la conseguente formazione di quelle enormi masse, non più antiche (contadine, artigiane) e non ancor moderne (borghesi), che hanno costituito il selvaggio, aberrante, imponderabile corpo delle truppe naziste. 

In Italia sta succedendo qualcosa di simile: e con ancora maggiore violenza, poiché l'industrializzazione degli anni Settanta costituisce una "mutazione" decisiva anche rispetto a quella tedesca di cinquant'anni fa. Non siamo più di fronte, come tutti ormai sanno, a "tempi nuovi", ma a una nuova epoca della storia umana, di quella storia umana le cui scadenze sono millenaristiche. Era impossibile che gli italiani reagissero peggio di così a tale trauma storico. Essi sono diventati in pochi anni (specie nel centro-sud) un popolo degenerato, ridicolo, mostruoso, criminale. Basta soltanto uscire per strada per capirlo. Ma, naturalmente, per capire i cambiamenti della gente, bisogna amarla. Io, purtroppo, questa gente italiana, l'avevo amata: sia al di fuori degli schemi del potere (anzi, in opposizione disperata a essi), sia al di fuori degli schemi populisti e umanitari. Si trattava di un amore reale, radicato nel mio modo di essere. Ho visto dunque "coi miei sensi" il comportamento coatto del potere dei consumi ricreare e deformare la coscienza del popolo italiani, fino a una irreversibile degradazione. Cosa che non era accaduta durante il fascismo fascista, periodo in cui il comportamento era completamente dissociato dalla coscienza. Vanamente il potere "totalitario" iterava e reiterava le sue imposizioni comportamentistiche: la coscienza non ne era implicata. I "modelli" fascisti non erano che maschere, da mettere e levare. Quando il fascismo fascista è caduto, tutto è tornato come prima. Lo si è visto anche in Portogallo: dopo quarant'anni di fascismo, il popolo portoghese ha celebrato il primo maggio come se l'ultimo lo avesse celebrato l'anno prima. 

È ridicolo dunque che Fortini retrodati la distinzione tra fascismo e fascismo al primo dopoguerra: la distinzione tra il fascismo fascista e il fascismo di questa seconda fase del potere democristiano non solo non ha confronti nella nostra storia, ma probabilmente nell'intera storia. 
Io tuttavia non scrivo il presente articolo solo per polemizzare su questo punto, benché esso mi stia molto a cuore. Scrivo il presente articolo in realtà per una ragione molto diversa. Eccola. 
Tutti i miei lettori si saranno certamente accorti del cambiamento dei potenti democristiani: in pochi mesi, essi sono diventati delle maschere funebri. È vero: essi continuano a sfoderare radiosi sorrisi, di una sincerità incredibile. Nelle loro pupille si raggruma della vera, beata luce di buon umore. Quando non si tratti dell'ammiccante luce dell'arguzia e della furberia. Cosa che agli elettori piace, pare, quanto la piena felicità. Inoltre, i nostri potenti continuano imperterriti i loro sproloqui incomprensibili; in cui galleggiano i "flatus vocis" delle solite promesse stereotipe. In realtà essi sono appunto delle maschere. Son certo che, a sollevare quelle maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d'ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il vuoto. La spiegazione è semplice: oggi in realtà in Italia c'è un drammatico vuoto di potere. Ma questo è il punto: non un vuoto di potere legislativo o esecutivo, non un vuoto di potere dirigenziale, né, infine, un vuoto di potere politico in un qualsiasi senso tradizionale. Ma un vuoto di potere in sé. 
Come siamo giunti, a questo vuoto? O, meglio, "come ci sono giunti gli uomini di potere?". 
La spiegazione, ancora, è semplice: gli uomini di potere democristiani sono passati dalla "fase delle lucciole" alla "fase della scomparsa delle lucciole" senza accorgersene. Per quanto ciò possa sembrare prossimo alla criminalità la loro inconsapevolezza su questo punto è stata assoluta; non hanno sospettato minimamente che il potere, che essi detenevano e gestivano, non stava semplicemente subendo una "normale" evoluzione, ma sta cambiando radicalmente natura. 
Essi si sono illusi che nel loro regime tutto sostanzialmente sarebbe stato uguale: che, per esempio, avrebbero potuto contare in eterno sul Vaticano: senza accorgersi che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, non sapeva più che farsene del Vaticano quale centro di vita contadina, retrograda, povera. Essi si erano illusi di poter contare in eterno su un esercito nazionalista (come appunto i loro predecessori fascisti): e non vedevano che il potere, che essi stessi continuavano a detenere e a gestire, già manovrava per gettare la base di eserciti nuovi in quanto transnazionali, quasi polizie tecnocratiche. E lo stesso si dica per la famiglia, costretta, senza soluzione di continuità dai tempi del fascismo, al risparmio, alla moralità: ora il potere dei consumi imponeva a essa cambiamenti radicali nel senso della modernità, fino ad accettare il divorzio, e ormai, potenzialmente, tutto il resto, senza più limiti (o almeno fino ai limiti consentiti dalla permissività del nuovo potere, peggio che totalitario in quanto violentemente totalizzante). 
Gli uomini del potere democristiani hanno subito tutto questo, credendo di amministrarselo e soprattutto di manipolarselo. Non si sono accorti che esso era "altro": incommensurabile non solo a loro ma a tutta una forma di civiltà. Come sempre (cfr. Gramsci) solo nella lingua si sono avuti dei sintomi. Nella fase di transizione - ossia "durante" la scomparsa delle lucciole - gli uomini di potere democristiani hanno quasi bruscamente cambiato il loro modo di esprimersi, adottando un linguaggio completamente nuovo (del resto incomprensibile come il latino): specialmente Aldo Moro: cioè (per una enigmatica correlazione) colui che appare come il meno implicato di tutti nelle cose orribili che sono state, organizzate dal '69 ad oggi, nel tentativo, finora formalmente riuscito, di conservare comunque il potere. 
Dico formalmente perché, ripeto, nella realtà, i potenti democristiani coprono con la loro manovra da automi e i loro sorrisi, il vuoto. Il potere reale procede senza di loro: ed essi non hanno più nelle mani che quegli inutili apparati che, di essi, rendono reale nient'altro che il luttuoso doppiopetto. 
Tuttavia nella storia il "vuoto" non può sussistere: esso può essere predicato solo in astratto e per assurdo. È probabile che in effetti il "vuoto" di cui parlo stia già riempiendosi, attraverso una crisi e un riassestamento che non può non sconvolgere l'intera nazione. Ne è un indice ad esempio l'attesa "morbosa" del colpo di Stato. Quasi che si trattasse soltanto di "sostituire" il gruppo di uomini che ci ha tanto spaventosamente governati per trenta anni, portando l'Italia al disastro economico, ecologico, urbanistico, antropologico. 
In realtà la falsa sostituzione di queste "teste di legno" (non meno, anzi più funereamente carnevalesche), attuata attraverso l'artificiale rinforzamento dei vecchi apparati del potere fascista, non servirebbe a niente (e sia chiaro che, in tal caso, la "truppa" sarebbe, già per sua costituzione, nazista). Il potere reale che da una decina di anni le "teste di legno" hanno servito senza accorgersi della sua realtà: ecco qualcosa che potrebbe aver già riempito il "vuoto" (vanificando anche la possibile partecipazione al governo del grande paese comunista che è nato nello sfacelo dell'Italia: perché non si tratta di "governare"). Di tale "potere reale" noi abbiamo immagini astratte e in fondo apocalittiche: non sappiamo raffigurarci quali "forme" esso assumerebbe sostituendosi direttamente ai servi che l'hanno preso per una semplice "modernizzazione" di tecniche. Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l'intera Montedison per una lucciola.

Pier Paolo Pasolini

mercoledì 12 giugno 2019

Considerazioni sul cappero

Rassegna stampa, La Nazione e Il Tirreno in cronaca locale, sullo spettacolo di domani sera alla Baracca, L'amore è un brodo di capperi.

A proposito dello spettacolo voglio dire che erroneamente esso viene considerato "leggero" (anche se la leggerezza può essere un bel pregio per un testo teatrale)), e lo è perché è spassoso, perché ci sono personaggi vicini al clilché, e altri elementi propri della commedia, ma vi si tratta di un tema che è il perturbante, e potrei dire anche la diversità, che disturba la nostra vita quotidiana e le nostre certezze, una sorta di realismo magico nostrano. E' ciò che noi vogliamo in tutti modi allontanare dalle nostre vite, che invece marciano programmate e piene di calcoli (anche al fegato!).

Il testo è propriamente un mix fra teatro e cinema, e chissà se prima di passare ad altra sostanza non riesca a farci un film.

La Nazione pubblica anche la notizia del premio, i cui obbiettivi da raggiungere già mi fanno sudare, più del caldo, al solo pensiero.




Cinesi in consiglio comunale

Per giorni, durante la campagna elettorale, miseramente, certa politica ha sventolato lo spettro dell’ingresso nel consiglio comunale della città di Prato di italiani di origine cinese,  Marco Wong e Teresa Lin, nel caso avesse vinto la Sinistra, come è avvenuto poi, con il rischio di un terremoto culturale e identitario della città.

Ora, ascoltando le interviste fatte dal Corriere della Sera a questi due nuovi consiglieri,  devo dire preparati e simpatici,  appare evidente che non ci sarà alcun terremoto culturale, anzi!

Essi parlano di economia, di affari, di commerci, di trasformare China Town in attrazione turistica, in sostanza il loro operato tende ad assicurare continuità all’humus capital-operativo della città.

Le loro parole dimostrano che l’integrazione fra noi e loro è già avvenuta se non altro attraverso il capitalismo avanzato,  e purtroppo temo che la loro bella presenza in consiglio comunale non costituisca, nonostante la facciata che mostra tinte di integrazione,  alcuna innovazione o alterità, ma sia al servizio di un preciso marketing politico e, soprattutto, di uno stile di vita economicamente assolutizzante e pervasivo.



martedì 11 giugno 2019

Popolare è morto

In Puglia la Notte della Taranta, festival di musica popolare, è un evento puramente commerciale, e non ha nulla a che vedere con l'antica pizzica pizzica o taranta, né, tantomeno!, con la funzione etnocoreutica che quella musica popolare aveva.  

A tal punto la manifestazione è commerciale che a condurre la manifestazione è stata chiamata una nota showgirl televisiva.

Per questo alcuni intellettuali e artisti hanno scritto un "Appello alla dignità" contro un evento che ormai, oltre a non essere popolare, è diventato volgare... E si chiedono: chi fa le scelte? Come le fa? Perché a questa manifestazione che vuol essere popolare è chiamata una conduttrice televisiva?
La rivolta è apprezzabile; tuttavia la cultura popolare, e quindi il tarantismo, è davvero morta. Di cosa parliamo? C'è solo la massa. E gli organizzatori, nominati dalla politica, devono fare massa, chiamare la massa, creare l'evento massivo.
Il popolo, almeno come lo potevano osservare Croce o Gramsci, ma ancora noi qualcosa abbiamo potuto vedere o ascoltare soprattutto in provincia, aveva una propria concezione del mondo e della vita che naturalmente si poneva in opposizione alla versione "ufficiale" del potere, del dominio.
Per Gramsci, sebbene il popolo non fosse capace di costruire strutture ideologiche,  era in grado di esprimere “una serie di innovazioni, spesso creative e progressiste, determinate spontaneamente da forme e condizioni di vita in processo di sviluppo e che sono in contraddizione, o semplicemente diverse, dalla morale degli strati dirigenti”.  In quanto “riflesso delle condizioni di vita culturale del popolo”, il folklore - come era la taranta - manifestava dunque una differenza irriducibile rispetto al progetto culturale egemonico: ne rappresentava il limite, il segnale che esso non riesce mai completamente ad esaurire la pensabilità della vita.  (Cfr. Quaderno 27, Gramsci 1975, vol. III, p. 2313).
Questa opposizione naturale, popolare non avviene più da molto tempo: la massa è integrata e integrante, e per completare meglio l'opera è stata dotata di tecnologia che favorisce proprio la massificazione. Pensare diversamente la vita, ove ancora sia possibile, oggi implica eresia e dis-integrazione.

Dunque, ben vengano gli appelli, ma ahimé in questa prospettiva politica ed economica, non c'è speranza di cambiamento. La massa non è capace di creare sacche di cultura né subcultura, alternativa, e nemmeno vuole, se non scimmiottare modelli calati dall'alto.

Da La gazzetta del Mezzogiorno
"L’hanno chiamato "Appello alla dignità». É il documento ideato e sottoscritto nel Salento da un gruppo di intellettuali, docenti universitari e artisti, contrari alla decisione, non ancora ufficializzata da parte di RaiDue, di affidare la conduzione del backstage del Concertone della Notte della Taranta, alla coppia d’oro del gossip, formata da Belen Rodriguez e Stefano De Martino. Il documento é stato sottoscritto da 18 firmatari con in testa l'ideatore dell’iniziativa, il professor Andrea Carlino, storico presso l’Università di Ginevra, e accusa la Fondazione Notte della Taranta, di avere tolto «dignità ad una manifestazione che è stata unico e speciale luogo di studio e di (re)invenzione della tradizione musicale salentina, di metissage culturale e sociale, di coinvolgimento della comunità locale e di lavoro scrupoloso sulle fonti della cultura popolare».  «Ci chiediamo perché - dicono i sottoscrittori - questa paziente costruzione, questo meraviglioso progetto creativo culturale, sociale e politico, debba ora infrangersi vendendo l'anima del Salento al gossip al trash, al populismo, all’acchiappa audience e all’acchiappa chiappe?». «Non esprimiamo sia chiaro - si legge ancora - nessuna critica sulle scelte mercantili o artistiche di Raidue, ma la Fondazione Notte della Taranta, il suo presidente, il suo consiglio di amministrazione, il suo consiglio scientifico, perché assecondano anzi sono complici della trasformazione commerciale e sanremese del Concertone? Perché?». 

lunedì 10 giugno 2019

Premio per la pubblicazione

Qualche tempo fa partecipai al bando del Fondo Scrittori e Autori Drammatici (Psmsad) per finanziare la pubblicazione delle mie opere teatrali.
L'ho vinto.
Felice (anche se ora mi aspetta un durissimo lavoro).

venerdì 7 giugno 2019

Più becchime e meno uccelli

Gli slogan delle campagne elettorali, tanto ipocriti quanto puerili, mirano alla bontà, alla felicità.
"Con tutto l'amore che c'è", oppure: "Riportiamo il sorriso".
Ma i comportamenti  dei partecipanti alle elezioni dimostrano l'opposto, dimostrano l'odio che le cosiddette campagne politiche sprigionano in tutti noi.
Si creano le fazioni, e molti non sono nemmeno capaci di ragionare, di argomentare.
L'aggressività è alta. Il dibattito è inesistente.
La tecnologia, che ci doveva aiutare a comunicare, svolge la sua funzione nella direzione opposta.
Volano le offese, il disprezzo, la filosofia alla Marchese del Grillo: "Io sono io, voi non siete un c...".

Il fallimento della democrazia è evidente.
La politica è tornata, come in altri periodi vedi fascismo, a una lotta brutale per il mantenimento o raggiungimento del potere.

Naturalmente questo fa comodo ed è incentivato dal potere stesso, che in questo modo non cambia poi mai la sua struttura di dominio.

Per spiegare meglio quello che intendo dire, viene a fagiolo un proverbio che recita:
"Più becchime e meno uccelli".

Sarebbe un motto divertente per una politica più giusta e ragionevole.

Invece, istigandoci alla faziosità e alla lotta, fanno in modo che avvenga l'esatto contrario: più uccelli e meno becchime.

giovedì 6 giugno 2019

Teatro natura



Questa bella foto de La Baracca è stata tratta da Google Earth, e risale a ottobre passato.
Sono orgogliosa di aver creato questo piccolo spazio, un piccolo teatro ecologico e alternativo, bistrattato anzi meglio, palesemente ignorato dalla politicanza che sostiene solo il teatro vetrina per creare aree di consenso e replicare il potere, e che per questo ha cancellato e cancella ogni tentativo di cultura dal basso, ogni possibilità di rinascita artistica autonoma e libera da compromessi e nomine: una politica culturale che vuole la morte dell'arte, del pensiero e della poesia.
Dal basso riconosce solo la "movida", il movimento insuls/to del fine settimana.

"In che lingua, in che perso dialetto?
Quella vita, dico, quella sofferenza.
Confonde,
non decifra la scrittura,
non riconosce l'evento.
Ha tutto parificato in uno sconcio farfugliamento
del tempo e del vivente
il custode smemorato
del documento, l'uomo
rugoso come una rugosa valva,
come lei svuotato dal mare del mutamento,
e basta". (Mario Luzi)



mercoledì 5 giugno 2019

Gonfienti: riassuntino delle puntate precendenti




A un passo dalla "finale" (non sembrano partite questo ballottaggi? non c'è lo stesso "tifo"?) conto le giunte che si sono succedute dal 2003 a oggi ad amministrare la città di Prato.
Ben quattro, e nulla è stato fatto per l'area archeologica di Prato.
Promesse, discorsi tanti, ma niente di sostanziale, nessuna apertura del sito archeologico e, finora, nessuna ripresa degli scavi.

E non faranno niente! Intanto la politica pensa soprattutto a lottizzare e a creare altri macrolotti, aree industriali, affitti e vendite di immobili.

E quindi, tanto per dimenticare il senso di impotenza e rabbia, o forse per farselo venire ancor di più, non mi resta che stilare il riassuntino dell'attività artistica svolta in questi lunghi anni per sensibilizzare sullo scempio compiuto del sito archeologico di Gonfienti, attività che dal 2008 è stata sostenuta e condivisa anche da Gianfelice.
Da questa lista escludo però le tante azioni politiche, come sit-in, marce, presidi, conferenze, dibattiti e quanto altro ho, abbiamo organizzato nello stesso periodo. Se mi dimentico qualcosa, ditemelo.

E questi signori della Soprintendenza tagliano l'erba, capito, tagliano l'erba! 


2003: Intermezzo etrusco 
2008: Laris Pulenas a Poggio Castiglioni, replicato varie volte a Prato e non solo fino al 2018, almeno una volta l'anno.
2008: Gonfienti muore, video presentato anche al Festival del Cinema Archeologico di Rovereto
2009: Gonfienti è morta, video 
2010: Addio Gonfienti, ovvero convertiti all'Interporto, video
2010: Visitors (in occasione dell'ultima riapertura degli scavi del 20 novembre 2010), video.
2010: Gonfienti, storia di una battaglia: pubblicazione del libro e spettacolo omonimo alla Baracca.
2011: Dall'alto del cielo, video
2016: Scaveide, commedia. 
2019: Gonfienti: metti una sera un viaggiatore, corto.

Un invito per i 20 anni dei Celestini

 Per stasera, 21 dicembre, ore 20,45 alla Baracca.