Dalla rivista culturale elettronica ALIBIONLINE
di Saul Stucchi
Sabato 29 Maggio 2010
Maila Ermini ha appena mandato in libreria Gonfienti. Storia di una battaglia per i tipi delle Edizioni del Teatrino di Legno. Negli otto agili capitoli che ne compongono la prima parte, l'autrice rappresenta un quadro sintetico della controversa vicenda di questo sito archeologico, segnato dalla sorte peggiore che possa toccare a un centro antico: non quella di non essere mai individuato e portato alla luce, ma la maledizione di essere distrutto per sempre una volta riscoperto. Pagina dopo pagina Maila stende la cronaca di una morte annunciata, anche se nelle parole dei protagonisti sempre negata: il libro può essere considerato dunque un referto post mortem. La vittima è la città etrusca sorta in epoca arcaica sul Bisenzio, alle pendici dei Monti della Calvana, con una villa di oltre 1400 metri quadri riconosciuta dagli archeologi come la più ampia abitazione dell'Italia antica prima della Roma imperiale. La parabola descritta prende avvio dal casuale ritrovamento alla fine del 1996 dei primi reperti per concludersi mestamente con il riseppellimento della città. Il movente di questo delitto culturale è chiarissimo, anche se possiamo affibbiargli una lunga serie di nomi che non ne cambierebbero comunque la natura: soldi, sviluppo economico, potenziamento del traffico merci su scala regionale... Destino ha voluto infatti che l'area del costituendo Interporto della Toscana Centrale coincidesse quasi totalmente con quella della sottostante città etrusca, sacrificata senza troppi crucci a Mammona. Che farsene di alcuni muri, di un decumano (per quanto straordinariamente ampio), dei canali di scolo delle acque? La pur splendida kylix attribuita al pittore Douris non vale quanto una statua. Avessero gli archeologi ritrovato almeno una benedetta scultura, magari il ritratto del celebre Porsenna, forse la sorte di Gonfienti sarebbe stata diversa. È proprio questo uno dei paradossi che mette in evidenza Maila: anche il patrimonio antico viene mercificato e considerato sub specie pecuniae. Se una statua vale più di un vaso, la mancanza di reperti “spendibili” presso l'opinione pubblica svilisce il valore del ritrovamento che diventa presto un fardello, un problema o al massimo una “risorsa” nel quadro di un progetto di sfruttamento turistico. Secondo questa concezione miope, un bene culturale vale per quanto può rendere, non di per sé come testimonianza e patrimonio. Gonfienti. Storia di una battaglia è frutto e insieme seme dello spettacolo che la stessa Maila ha portato in scena lo scorso novembre al teatro La Baracca (qui potete leggere la mia recensione, un cui ampio brano viene citato nel libro). L'attrice pratese interpreta la sua professione con una profonda e dunque polemica passione civile e ne dà un'ulteriore prova in questo libello. Qui, come in un dramma greco, i protagonisti sono portatori ciascuno della propria verità e benché si parlino molto sul “palcoscenico” cittadino in riunioni, incontri pubblici o attraverso i giornali, riescono a comunicarsi poco o nulla. Per continuare la metafora aggiungo che Maila ha scelto per sé il doppio ruolo di drammaturga e personaggio, affidandosi – tanto nel testo, quanto nella condotta politica che lo ha preceduto, sia ben chiaro – il più scomodo di tutti: quello della profetessa inascoltata. Per denunciare il destino segnato di Gonfienti Maila decide di partecipare alle elezioni amministrative del 2009, come candidata alla carica di sindaco con la lista civica Per il Bene Comune e arriva a chiedere le dimissioni della ispettrice per i Beni Archeologici della Toscana, dottoressa Gabriella Poggesi, accusandola di non saper gestire il sito di Gonfienti. Dimostra anche di non mancare d'ironia che a volte declina negli accenti più aspri del sarcasmo, per esempio quando risponde al responsabile di un gruppo di associazioni interessate al futuro della città antica: “Egregio Signore: siamo passati dalla Rete al Tavolo: non sarà forse una partita di ping-pong?”. Da donna di teatro prestata momentaneamente alla politica (due campi per altro assai prossimi, come ci dimostrano ormai da troppi anni le cronache parlamentari) Maila è in grado di individuare e portare allo scoperto le verità nascoste sotto i buoni propositi, registrando con dispiacere la scomparsa politica dei protagonisti della battaglia, fino a chiudere il libro con parole amare e sconsolate, lasciando nero su bianco previsioni dalle tinte ancora più fosche. Nella seconda parte del libro sono riportati i documenti della battaglia. Qui Maila fa parlare direttamente le carte, dalla bozza della scheda processuale redatta dal professor Giuseppe Centauro, all'intervento della stessa ispettrice Poggesi, passando per la denuncia presentata ai Carabinieri di Prato per danni diretti e indiretti, incuria e provocata rovina di area archeologica e danno paesaggistico e ambientale. Infine correda il libro un album fotografico che testimonia i momenti salienti della battaglia. Diceva nel secolo scorso un giovane argentino che le battaglie non si perdono, si vincono sempre. Per questo vanno combattute.
1 commento:
Come la metterá ora l'incompetente intimidatrice Poggesi col resto del mondo, affiancata dai vari assessorumi culturali e non, che la difendono a spada tratta, in questa farsa volgare e triste dove le veritá sono oscurate dalla sagoma mortifera dell'ecomostro? Che potrá ancora dire? Lei, l'assessore senza titoli e la kylix rincollata alla peggio e peggio esposta in un palazzo del potere, a testimoniare il puzzo di marcio che sale da questa storia, e sulla quale nessun magistrato ha ancora aperto un'inchiesta?
Fiele da Clitognacci
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