martedì 28 novembre 2017

Due recensioni (Su Le Maschie e il Bignamino delle donne)

Sono stata incerta se pubblicare queste recensioni, per pudore. Ma poi, pensando che non fosse giusto nemmeno tener chiuso in un cassetto chi mi aveva dedicato del tempo per commentare i miei lavori teatrali, che sono pubblici, ho pensato di superare il disagio.
Se penso che c'è gente che le recensioni se le fa scrivere, tutta una razza di ruffiani e raccomandati che pagherebbero oro quello che invece è venuto liberamente! Mi dispiace per gli invidiosi; anzi, non mi dispiace per niente; tant'è.
Ieri sera sono andata a confrontarmi con mio padre, che in questi giorni vive momenti di buona lucidità. Gli ho chiesto un consiglio, come facevo sempre quando lui era in perfetta forma. -Che faresti, babbo? Penseranno che sono un'illusa. Un'attrice. - Lui mi ha guardato, ha sorriso. Poi ha guardato verso la finestra, ha masticato un po' e infine ha detto, testuali parole: - Non ti vergognare, tanto anche se non pubblichi, non gli vai bene lo stesso. -
La prima è una lettera di uno spettatore che commenta Il bignamino delle donne che è andato in scena nella Sala Banti di Montemurlo; la seconda una recensione più generale, di Gianfelice D'Accolti, che contiene, oltre a un bellissimo italiano, anche considerazioni politiche.


Gentile Maila,
fino a poco tempo fa potevo andare a teatro; poi gli impegni con la mia famiglia, i genitori anziani e altre problematiche economiche, mi impediscono di andarci con continuità.
Per questo sabato sera, io e mia moglie abbiamo approfittato per venire a vedere il suo spettacolo “Il bignamino delle donne”, dato che avevamo una serata di libertà.
Quale sorpresa nel conoscerla e nel rivedere in lei la grande Marchesini!
Lei è davvero un’ attrice duttile, e tutti in sala mi creda, siamo rimasti sorpresi.
E anche il tema poi trattato con ironia e grazia.
Anche un uomo riesce a immedesimarsi nell’umanità femminile che lei presenta; lei è donna rappresentava donne, ma come uomo io mi sentivo a mio perfetto agio, non in quel disagio che altre volte mi è capitato di provare in queste manifestazioni del 25 novembre, di cui noi maschi ci vergogniamo  un po’; e intendo di essere così barbari a volte.
L’argomento era delicato, e a trasformarlo in umorismo e grazia è stata la sua grande abilità.
Grazie.  
Mario Cicconi

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Maila Ermini, l’Arte da fermo.

Maila Ermini strepitosa in due performance teatrali andate in scena una di seguito all’altra, il sabato IL BIGNAMINO DELLE DONNE, la domenica LE MASCHIE in due differenti contesti, e che ho avuto la ventura di ri-vedere in qualità di assistente scenico.
A parte l’anti-convenzionalità sincera della pensatrice; la sua effervescenza drammaturgica, mai banale e sempre ricca di spunti e situazioni in un teatro solo apparentemente ‘normale’; ciò che mi ha affascinato di questo doppio colpo, uno in Sala Banti, Montemurlo, l’altro in Baracca, a Prato, è stata la  duttilità dell’attrice, la straordinaria vivacità “da fermo” del suo teatro, pur cosi plasticamente incline alle geometrie. Dieci personaggi compresa la narratrice nel primo pezzo, sei personaggi più una decina di altre donne-voci nel secondo. Senza muovere un passo nella prima pièce, allontanandosi per meno di un minuto in quinta, nella seconda: solo pochi metri percorsi.
Apoteosi della radio e della danza.
La radio: nella potenza evocativa della parola, della voce, in un continuo balletto sonoro di timbri, registri, toni, dialetti, significanze, pieni e vuoti ritmici.
La danza: nei guizzi delle occhiate, nelle sospensioni e nelle pause dei nuovi incontri, apparizioni, sparizioni dei personaggi orchestrati col telecomando - che diventa all’uopo anche microfono -dell’unico mezzo tecnico usato, un semplice riproduttore CD audio che erutta una calma, ossessiva lava satanica, unica colonna sonora del dramma; mentre nel primo pezzo bastano pochi cappelli, parrucche, cenni di trucco a cambiare secolo, cultura, vita. E insieme il limpido canto della voce accarezzata dalla chitarra.
La diffidenza alimentata dal rancore politico di un ambiente ostile a cui lei non è allineata, la Toscana piddina, pure si arrende allo stupore che genera la sua grande arte mimesica; e a me, occhio esterno ma partecipe, amareggia che Maila debba sacrificare il suo grande teatro in date celebrative e d’occasione sociale, tiepide cerimonie auto-consolatorie di un potere in piena decadenza che cerca di reclamare, annaspando come nella caduta dell’Impero Romano, la sua presenza tra noi comuni mortali, i senza potere. Maila Ermini non merita di fare teatro recuperata solo in siffatte serate, esclusa dai cartelloni ufficiali, come a sfamarsi di quello che cade dalla mensa del ricco che getta i suoi avanzi al povero mendico. Perché Maila non è un mendico e merita altro. E, a differenza degli assessori che passano e degli sciapi presidenti di commissione cultura, sarà ricordata ad onta della sua assenza sui grandi palcoscenici o nei tubi “ac-cat(t)odici”. Perché “Verrà un giorno…”, scriveva Alessandro Manzoni…

Gianfelice D’Accolti


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