Sono stata incerta se pubblicare queste recensioni, per pudore. Ma poi, pensando che non fosse giusto nemmeno tener chiuso in un cassetto chi mi aveva dedicato del tempo per commentare i miei lavori teatrali, che sono pubblici, ho pensato di superare il disagio.
Se penso che c'è gente che le recensioni se le fa scrivere, tutta una razza di ruffiani e raccomandati che pagherebbero oro quello che invece è venuto liberamente! Mi dispiace per gli invidiosi; anzi, non mi dispiace per niente; tant'è.
Ieri sera sono andata a confrontarmi con mio padre, che in questi giorni vive momenti di buona lucidità. Gli ho chiesto un consiglio, come facevo sempre quando lui era in perfetta forma. -Che faresti, babbo? Penseranno che sono un'illusa. Un'attrice. - Lui mi ha guardato, ha sorriso. Poi ha guardato verso la finestra, ha masticato un po' e infine ha detto, testuali parole: - Non ti vergognare, tanto anche se non pubblichi, non gli vai bene lo stesso. -
La prima è una lettera di uno spettatore che commenta Il bignamino delle donne che è andato in scena nella Sala Banti di Montemurlo; la seconda una recensione più generale, di Gianfelice D'Accolti, che contiene, oltre a un bellissimo italiano, anche considerazioni politiche.
Gentile
Maila,
fino
a poco tempo fa potevo andare a teatro; poi gli impegni con la mia famiglia, i
genitori anziani e altre problematiche economiche, mi impediscono di andarci
con continuità.
Per
questo sabato sera, io e mia moglie abbiamo approfittato per venire a vedere il
suo spettacolo “Il bignamino delle donne”, dato che avevamo una serata di
libertà.
Quale
sorpresa nel conoscerla e nel rivedere in lei la grande Marchesini!
Lei
è davvero un’ attrice duttile, e tutti in sala mi creda, siamo rimasti sorpresi.
E
anche il tema poi trattato con ironia e grazia.
Anche
un uomo riesce a immedesimarsi nell’umanità femminile che lei presenta; lei è
donna rappresentava donne, ma come uomo io mi sentivo a mio perfetto agio, non
in quel disagio che altre volte mi è capitato di provare in queste
manifestazioni del 25 novembre, di cui noi maschi ci vergogniamo un po’; e intendo di essere così
barbari a volte.
L’argomento
era delicato, e a trasformarlo in umorismo e grazia è stata la sua grande abilità.
Grazie.
Mario Cicconi
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Maila Ermini, l’Arte da fermo.
Maila Ermini strepitosa
in due performance teatrali andate in scena una di seguito all’altra, il sabato
IL BIGNAMINO DELLE DONNE, la domenica LE MASCHIE in due differenti contesti, e che ho avuto la ventura di ri-vedere in
qualità di assistente scenico.
A parte
l’anti-convenzionalità sincera della pensatrice; la sua effervescenza
drammaturgica, mai banale e sempre ricca di spunti e situazioni in un teatro solo
apparentemente ‘normale’; ciò che mi ha affascinato di questo doppio colpo, uno
in Sala Banti, Montemurlo, l’altro in Baracca, a Prato, è stata la duttilità dell’attrice, la
straordinaria vivacità “da fermo” del suo teatro, pur cosi plasticamente
incline alle geometrie. Dieci personaggi compresa la narratrice nel primo
pezzo, sei personaggi più una decina di altre donne-voci nel secondo. Senza
muovere un passo nella prima pièce, allontanandosi per meno di un minuto in
quinta, nella seconda: solo pochi metri percorsi.
Apoteosi della radio e
della danza.
La radio: nella potenza
evocativa della parola, della voce, in un continuo balletto sonoro di timbri,
registri, toni, dialetti, significanze, pieni e vuoti ritmici.
La danza: nei guizzi
delle occhiate, nelle sospensioni e nelle pause dei nuovi incontri,
apparizioni, sparizioni dei personaggi orchestrati col telecomando - che
diventa all’uopo anche microfono -dell’unico mezzo tecnico usato, un semplice
riproduttore CD audio che erutta una calma, ossessiva lava satanica, unica
colonna sonora del dramma; mentre nel primo pezzo bastano pochi cappelli, parrucche,
cenni di trucco a cambiare secolo, cultura, vita. E insieme il limpido canto
della voce accarezzata dalla chitarra.
La diffidenza alimentata
dal rancore politico di un ambiente ostile a cui lei non è allineata, la
Toscana piddina, pure si arrende allo stupore che genera la sua grande arte
mimesica; e a me, occhio esterno ma partecipe, amareggia che Maila debba
sacrificare il suo grande teatro in date celebrative e d’occasione sociale, tiepide
cerimonie auto-consolatorie di un potere in piena decadenza che cerca di
reclamare, annaspando come nella caduta dell’Impero Romano, la sua presenza tra
noi comuni mortali, i senza potere. Maila Ermini non merita di fare teatro recuperata
solo in siffatte serate, esclusa dai cartelloni ufficiali, come a sfamarsi di
quello che cade dalla mensa del ricco che getta i suoi avanzi al povero
mendico. Perché Maila non è un mendico e merita altro. E, a differenza degli
assessori che passano e degli sciapi presidenti di commissione cultura, sarà
ricordata ad onta della sua assenza sui grandi palcoscenici o nei tubi
“ac-cat(t)odici”. Perché “Verrà un giorno…”, scriveva Alessandro Manzoni…
Gianfelice D’Accolti
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