lunedì 11 aprile 2011

Io che ho scelto la precarietà

In questi giorni che ho visto i giovani sfilare contro il lavoro precario, il lavoro sfruttato con la maligna mano della modernità, ho pensato alla mia esperienza, alle mie scelte passate nel cosiddetto lavoro.
Premessa. Sono cresciuta con l'idea che il lavoro fisso fosse umiliante. Umiliante per la persona. Non scherzo. Certo allora si poteva ragionare così, perché il lavoro fisso era una possibilità concreta per molte più persone che non ora. Il lavoro era una garanzia.
In primis mio padre che  insegnava a me e a mio fratello che il lavoro fisso era lavoro dipendente e quindi non libero, non creativo. Che dovevi fare quello che diceva il padrone. Mio padre allora non era certo ricco, anzi.
Secondo. Ho vissuto da giovanissima il cosiddetto Settantasette e quindi tutte le proteste. Guai a pensare di diventare una 'dipendente'; di lavorare per il 'sistema'. Fa ridere lo so. Ma in molti ci credevamo.
Quando il professor Macrì mi propose di rimanere all'Università di Firenze a lavorare, gli dissi chiaramente che non avrei mai voluto fare quella vita di ubbidienza e devozione. Il professore concluse che era quella la scelta migliore.
Da allora ho sempre fatto teatro, ma siccome non riuscivo a viverci, tentai anche le strade del lavoro fisso.
Dopo laureata diventai insegnante di liceo; per due anni e poi mi licenziai.
Lavorai poi per qualche tempo per un giornale; e anche da lì me ne andai perché scrissi contro un politico.
Poi vinsi il concorso di traduttore-interprete al Ministero dell'Interno. Si lavorava fino alle due, come a scuola a quei tempi, e mi permise per un po' di conciliare con il lavoro teatrale. Per un po'.
Alla fine me ne sono andata da tutto il mondo delle certezze economiche e ho navigato a vista.
m.e.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Sì ma tu sei un artista, è diverso. Mica tutti possono esserlo. E' anche una mentalità. Molti preferiscono stare sotto padrone sicuri, e per questo combattono, che liberi e insicuri. E poi...ma liberi di che? Oggi comunque non si è né liberi né sicuri.

Anonimo ha detto...

Molti sono artisti ma non hanno questa mentalità.
Essere artisti c'entra fino a un certo punto.
Comunque se uno lavora per conto suo è ben più libero che sotto padrone, non scherziamo!

Gusy

Anonimo ha detto...

Gusy, sono d'accordo con te. Gli artisti sono le peggiori puttane, senza offendere le prostitute. Essere libero é un fatto di spirito, di coscienza; si puó essere buoni artisti e liberi, come Maila. Si puó essere buoni artigiani e liberi, e anche buoni impiegati e liberi. La libertá é un esercizio continuo di affermazione leale e onesta di se stessi in un contesto molteplice dove gli altri sono soggetti di pari dignitá. Il meglio é nemico del Bene, citava Eliot, in Assassinio nella cattedrale. Forse questa é la misura. Se cerchi il Bene sei libero. Se cerchi il meglio, forse, non lo sei.
Non ho ricette da insegnare a nessuno, peró.
Baci, Gianfelice.

Anonimo ha detto...

Per me questa di Maila è una bella testimonianza, credo che tale voglia essere. E anche uno sprone, che insomma si può vivere anche senza agognare al posto fisso, pur criticando il sistema della precarietà stessa. Così lo intendo io.

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