mercoledì 9 ottobre 2013

La strategia del discredito

Uno degli esercizi più amati da chi invidia o deve 'cancellare' qualcuno, attaccarlo perché lo si vuol mettere a tacere, è, oltre alla famosa strategia del silenzio, quella del discredito.

E' un procedimento ben diverso dall'attacco politico diretto.

Quando è morta Margherita Hack se ne sono visti di esempi suoi giornali, ma naturalmente su internet di più.
Essendo atea e vegeratariana, i giornali cattolici l'hanno fatta passare per scienziata di 'serie B', pur intessendone i dovuti elogi.

Dato che anch'io sono stata oggetto di questa strategia, a causa di questo blog che si vuol tenere sotto controllo, ho studiato un po' questo 'sistema', che sostanzialmente si riduce a un esercizio retorico per cui si inframezza il malcelato sarcasmo con i 'doverosi' elogi.

E' una forma, ipocrita, di censura, astuta perché ridicolizza l'altro senza le forme consuete della censura o della critica aperta.

Oltre che nella Chiesa di Roma, la strategia del discredito, con pur con diversa sfumatura, si praticava molto abilmente nei discorsi del Partito Comunista Sovietico (che ho studiato anche per la messa in scena di "Cafiero Lucchesi"); in questo caso non era presente il sarcasmo - vietato il riso nel mondo sovietico! - , ma si procedeva prima con l'elogio di colui che doveva essere 'silurato' e poi, immancabilmente, dopo la congiunzione 'adnaka' (tuttavia, però), nell'ultima parte si criticava. Invece, per il compagno che doveva essere riabilitato, si procedeva al contrario: prima si criticava e dopo l''adnaka', lo si riabilitava. Questo immancabilmente, per cui il procedimento era diventato 'segno' di sfortuna e fortuna all'interno del Partito.

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