La mostra al Museo Pecci di Prato, The missing Planet, è stimolante: mostra l'universo dell'Unione Sovietica che non esiste più, la disgregazione che ne è seguita e le sue conseguenze, un mondo che si basava sulla tecnica, e infatti la mostra inizia con i viaggi spaziali russi e riporta immagini dal film di Tarkovskij, Solaris.
Si osservano le ceneri di un sistema politico repressivo, burocratico, potente che ha distrutto culture e ambiente, e dove le rovine del tempo presente, la fatiscenza di città e paesaggi costituisce il fondale unico e costante.
L'Unione Sovietica è tramontata quando gli Stati Uniti hanno superato quello sgraziato ma tenace apparato tecnolocizzato. O no? Potente non è quello stato che ne possiede uno ad alto livello , vedi ora la Cina, e che a tal fine distrugge natura e uomini?
Mostra stimolante, certo, ma troppi video. Un centro di arte contemporanea non si può ridurre a una parata filmica.
E così è per le altre due mostre che si possono vedere di seguito, Romanistan e quella di Mario Rizzi sul mondo femminile arabo, dove scorrono davanti agli occhi solo video documentari, in sostanza formalmente identici.
Osservo che il perfettismo della video-tecnica ormai stanca, omologa e svuota anche la parola, il messaggio che vorrebbe essere alternativo.
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