La giunta pratese sta cercando di rivalutare il centro storico, punta tutto sul ‘centro’.
Mai come ora la città di Prato soffre di questa disparità e il fuori centro è abbandonato quasi a sé stesso. Le circoscrizioni, a oggi, sembrano destinate a morte sicura, depauperizzate, depotenziate, sono lontani i tempi del decentramento. Anzi il decentramento non si vuole più.
Anche in questo si capisce che non c’è un vero progetto complessivo sulla città, che comporterebbe uno sforzo progettuale e democratico significativo e si punta solo al ‘salotto’, progetto involutivo e reazionario, dove tra l’altro si vuole far arrivare le macchine più comodamente possibile (e questo lasciar invadere la città dalle automobili, sia detto a margine, è in contraddizione con il progetto di rivalutazione stessa, insomma a significare che la rivalutazione è solo una facciata).
L’abbandono del progetto di ritrovamento della città etrusca, (Gonfienti, chi era costei?) per quanto a questo punto risicato e risibile e difficoltoso poteva essere perseguirlo, rientra in questa direzione, ormai tutto è per la ‘città comunale’.
D’altronde i governi precedenti hanno commesso errori grossolani, come quello di costruire cittadelle del divertimento e del consumo come la Coop e la multisala di Capezzana, quello certo non è decentramento, non è vivere la città, ma passarci sopra, triturarla, buttarla via. Esattamente come accade allo spettatore nelle multisale cinematografiche, dopo aver consumato, viene ‘sputato via’, rifiutato nel piazzale del parcheggio macchine. E si ritrova smarrito, già dimentico del film che ha visto.
Ma non è solo una mancanza di volontà, questo disertare la periferia; non si pensa, non si cerca di rivalutare la città nel suo complesso, non ci si prova nemmeno. Insomma, l'orizzonte non c'è, non è 'pensato'.
E dunque il comprensorio fuori le mura diventa un enorme dormitorio, oppure i vari borghi accentuano l’isolamento, l’estraniamento, il centro è percepito lontano. Precipita. Provate a chiedere ai giovani, che si radunano qua e là, davanti ai circoli (senza viverli però) o ai giardini, come capita a Vergaio, per esempio. Chiedete loro cosa pensano di questo 'centro' rivalutato: vi diranno immancabilmente che non interessa loro, perché la rivalutazione è solo per il danaro, per il commerciante, per fare lo shopping.
Loro disvelano la rivalutazione fittizia, mitologica, passatista.
Mai giunta fu più 'vecchia', lontana dai giovani, dalle loro esigenze, dalla loro necessità di spazi, che rubano, rubano dove possono. Erigono muri altissimi, questi giovani, hanno il loro 'centro', e quello che la politica e gli interessi relativi vogliono imporre loro, non interessa.
Il caso di Officina Giovani è emblematico: nel passato gestito (sempre gestito dall'alto, dal potere) dalle finte associazioni di giovani; ora, sfacciatamente, nemmeno più giovani.
I circoli disseminati nel territorio, squallidi, a parte qualche raro caso diverso, sono quello che vedono tutti; avamposti di un tempo passato e ormai astioso, lontanissimo, quando decentrare era la parola d’ordine.
Insomma, scorgo in questo ‘centrismo’ – simbolo politico e sociale rassicurante – peraltro solo con operazioni sostanzialmente commerciali o culturali ad effetto funzionali al commercio stesso- un triste movimento verso la città del nulla.
m.e.