martedì 17 dicembre 2013

Dario Fo e il valore della cultura

Sul blog di Grillo  Dario Fo torna a dirci del valore della cultura, che una volta - nell'Umanesimo e nel Rinascimento - eravamo dei grandi e che ora non siamo nulla perché la politica ci ha tolto tutto e si è arrivati a dire che con la cultura non si mangia, eccetera.

Il suo discorso è semplicistico, con il suo solito tono di chi sa e parla al pubblico che non sa, dal vago sapore di racconto infantile.

In realtà negli anni '60 e '70 e di seguito del Novecento c'è stato un grande florilegio di cultura; sono nati gli assessorati alla cultura, per esempio; sono nati i teatri stabili, le scuole di musica e di pittura, corsi di qua e di là, la nascita delle biblioteche comunali, tutti si sono occupati della cultura, tanto che  la cultura è ancora gestita, in qualche caso, dai sindaci, direttamente emanante dalle loro mani. Anche in funzione di controllo diretto di quello che si dice, ovvio.

Nessuno voleva minimamente mangiare con la cultura, guai a pensarci, la cultura doveva essere gratuita; infatti in molte città i cittadini sono abituati a fruirla ancora gratuitamente e non ci pensa proprio a sganciare un euro per uno spettacolo o una mostra eccetera. La cultura? L'ha sempre pagata il comune eccetera.

La Sinistra ha fatto tutto con la cultura; e la cultura s'è fatta con la Sinistra. Perché, lui non è diventato quello che è diventato anche grazie alla cosiddetta Sinistra?

Ora le cose son cambiate, ed è un fatto. Ma Fo non dice che il sistemino è stato marcio da quasi subito dal Dopoguerra (o forse è una continuazione del sistema fascista e finché sono vissuti, ci siamo ritrovati quegli artisti che nel Ventennio si son fatti le ossa, anche se per forza hanno dovuto cambiare pelle) e abbiamo visto gente a gestire compagnie teatrali, dico gente che aveva il babbo di professione raccogli-voti e naturalmente con la tessera di partito, che non sapeva nulla di teatro eccetera. Ma di questo ho detto tante volte.

S'è fatto tutto di e con il partito o con il sistemino vincente. Del valore della cultura non glien'è fregato più nulla a nessuno, come non gliene frega nulla ora e si vede in qualche caso che, per esempio, le scuole di musica sono utilizzate per propaganda, sono smerciate da assessori e partiti  come merce di propaganda di sé, di partito o del comune; a dirigerle si mettono personaggi mediocri anche musicalmente (per non parlare del resto) e guai a fare in modo che sia diverso. E al suono di 'concerti di qua, concerti di là' - concerti dove la musica non c'è se non come abilità tecnica- si fa cultura con il pallottoliere.

Senza contare poi che le persone che dirigono, ma anche gli stessi artisti devono essere possibilmente mediocri e proni, gente disposta a compromettersi, disposta a dire sì sì.

I giovani stanno dimostrando di essere molto bravi in questo senso, e trovano proprio il modo di fare i soldi con la cultura. Altroché. Li vedi fotografati sempre al lato dell'assessore di turno, che addirittura li sponsorizza.

Dei tempi di cui racconta Fo c'era un sistema-cultura totalmente diverso. Nella politica non democratica, in un mondo non massificato e non di cosmo-mercato, l'assunto era diverso. I ricchi e potenti non necessitavano del consenso democratico attraverso il voto per la riconferma, e quindi chiamavano a sé gli artisti  per illustrare e rafforzare il loro potere, non tanto per i loro sudditi, ma per gli avversari pari grado. E per questo sceglievano possibilmente i migliori artisti (con tanto di tecnica e contenuto incorporato), i migliori eruditi, i geniali musicisti, i pittori più mozzafiato, e non le mezze-calzette che si vendono adesso sul mercato, anche se gli astuti lecchini e 'visionari' furbastri non son mai mancati e hanno sempre lavorato ai fianchi come vili pidocchi. Come ora.




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