mercoledì 4 dicembre 2013

Il fallimento del sindacato (mentre Rossi arriva in ritardo)

Quello che è accaduto a Prato denuncia l'irreversibile fallimento del sindacato italiano, da tempo ormai balbettante.

A Prato non ne parliamo. Mai capace di alzare la testa fuori dal seminato di certi partiti.

Nessuno ha veramente lottato per cambiare il pesante costo del lavoro - madre di tutte le crisi -, nessuno a Prato ha evidenziato questo scempio di cui tutti i pratesi, tutti hanno visto l'evolversi negli anni.

I giornali hanno taciuto, mentre ora mettono titoloni e foto dei morti. Nessuna vera inchiesta - le inchieste sono partite tutte da fuori e poi qui mica siamo negli Stati Uniti -, nessuna presa di posizione contro la schiavitù, per la difesa dei diritti umani e sindacali.

Hanno lasciato tutto lo scempio come materia di scontro elettorale, con sequestri e giornalate del caso.

Tutti sapevamo, noi pratesi, e sappiamo quello che accade. Lo sapevamo anche prima dell'arrivo dei cinesi.

Quali regole dovevano seguire, i cinesi? Non hanno fatto altro che trasformare - certamente in peggio - quello che già era in atto. Il lavoro a nero.

Senza pensare allo sfruttamento della manodopera femminile, di cui non s'è mai veramente parlato.

Il sindacato non ha mai denunciato il 'caso-Prato', se non quando ha cominciato a mancare il lavoro, e la manifestazione che fu fatta - Prato non deve morire - in realtà servì solo per prendere i soldi della cassa integrazione da Roma.



Ecco la tardiva 'cura Rossi' per la città di Prato, così come descritta da La Nazione di oggi:

di Sandro Bennucci
FIRENZE
UNA BEFFA: a Prato risultano più infortuni sul lavoro di svizzeri che di cinesi. Lo rivela Massimo Parisi, deputato di Forza Italia, dopo aver esaminato i dati Inail. Che lo portano ad elencare: «Nel 2011 ci sono state 370 denunce, di cui 54 riguardanti stranieri, ma solo due cinesi. Nel 2012 le denunce sono state 295, 50 delle quali di stranieri, ma solo tre cinesi».
Da qui la domanda che sorge spontanea: è mai possibile che nel 2012, a Prato, si siano infortunati più elvetici che cittadini provenienti dalla Repubblica Popolare, a fronte di percentuali di residenti nemmeno comparabili? Il timore, come sottolinea l’onorevole forzista, è che altri casi si siano verificati senza essere stati denunciati. Valutato con questa lente d’ingrandimento, il distretto di Prato rischia di nascondere molte verità. Ovvio che non è un caso locale, nè regionale, ma di grande rilievo nazionale. Come l’ha disegnato anche il governatore, Enrico Rossi: che, incoraggiato dalla lettera di solidarietà del presidente della Repubblica Napolitano, ha deciso d’inviare al premier, Enrico Letta, un piano d’emergenza articolato in sette punti, che Palazzo Chigi dovrebbe fare suo. E usarlo anche come prototipo per un intervento a tappeto, in tutte le Regioni, per monitorare il lavoro delle comunità straniere, soprattutto dove c’è il forte sospetto d’illegalità sotto vari aspetti. 
ECCO che cosa chiede Rossi al governo, cominciando da Prato:
1) Censimento demografico attendibile e aderente alla realtà;
2) Accordo fra Cina e Italia per monitorare i flussi e combattere le infiltrazioni criminali;
3) Legge speciale per incentivare l’emersione dal sommerso d’imprese e lavoratori;
4) Regolamentazione specifica sulle abitazioni civili e i capannoni industriali; 
5) Ristrutturazione urbanistica e territoriale, integrando le funzioni produttive con quelle commerciali e abitative;
6) Potenziare la vigilanza bancaria sulle transazioni finanziarie (la magistratura stima rimesse per 4,5 miliardi dal 2006 al 2011, di cui un miliardo e mezzo solo su Prato);
7) Prendere atto che siamo davanti a una gravissima emergenza umanitaria, con dinamiche di schiavitù e d’ipersfruttamento.
In parole semplici, Rossi sollecita una svolta vera, rigorosa, capace di andare oltre le visioni ideologiche e di superare i paradossi. Come quello indicato da Parisi: che si finisca per avere un panorama d’infortunati dominato dagli svizzeri, piuttosto che dallo sterminato pianeta degli immigrati cinesi.


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