Liberazione ingabbiata
25 Aprile 2020, il giorno dopo. Ci
resta quella corona di alloro “ingabbiata” dietro il cancelletto dei Caduti, come un’icona che celebra l’anomalia di una festa,
forzosamente dimezzata, della riconquistata libertà, acuita dal persistente vuoto
della piazza. Atmosfera oggi ancor più surreale questa, alla quale non ci si
può certo abituare pur nell’emergenza di una pandemia che prima o poi passerà. Dopo
60 giorni di distanziamento sociale quella
piazza vuota pesa ancor di più. Proprio così. La grande platea lastricata
davanti al Castello dell’Imperatore e alla Basilica di Santa Maria delle
Carceri si è dilatata ai nostri occhi ben oltre il reale spazio fisico. Eppure, la
nuda bellezza dei monumenti, tangibili e maestosi nel silenzio, indurrebbe il l’esteta
ad esprimere parole di meraviglia e suggestione. Un sentimento questo che però lascia
presto il posto ad altro molto più crudo che si riflette nell’ansia del momento
che stiamo vivendo. Sono ancora beni culturali questi? o sono piuttosto relitti di una
cultura che sta dissolvendosi a distanza nel mondo del virtuale? La bellezza
senza condivisione, senza cura e partecipazione può avere il sapore amaro della
solitudine. Un’improvvisa trasmutazione dei sensi pervade chi osserva. Sarà forse
l’effetto del respiro ansimato che dietro la mascherina ci appanna ritmicamente
gli occhiali ma in quella nell’intermittente visione del vuoto si materializza una
folla di persone, un esercito statico e inerme, fatto di donne e di uomini spossati
e trasparenti come di chi non è più in questo mondo o di chi privato da un
giorno all’altro del proprio lavoro, vaga senza più un proprio posto nella
società. Per questi e per molti di noi resta ancora lontana la liberazione dall’abbraccio
mortale del virus. Quando sarà finita l’onda della solidarietà, della mano tesa
dei più fortunati verso chi si trova sul lastrico, rimarrà la sopravvivenza della
disparità. Il vero senso della Liberazione di oggi, che pure ieri abbiamo celebrato
nel segno della memoria, non sta dunque nella
retorica di quella evocazione. La politica tutta deve farsi partigiana, unita e
solidale, per ricostruire l’assetto sociale distrutto, per sostenere le frange più
scoperte, fatte di migliaia e migliaia di individui, di piccole imprese, di
lavoratori stagionali, di precari, di artisti e di artigiani che si sacrificano
in proprio. Si restituisca subito e per prima cosa a tutti questi la dignità
dell’operosità fin qui spesa dietro le quinte, fattore primario di libertà e di
identità sociale. Quel lavoro che ha fatto grande, nelle opere e nell’ingegno
profuso, senza confini e steccati, la cultura del nostro Paese, che ha
puntellato e resa credibile l’aspettativa per un mondo migliore nel quale ai vertici
si dice di credere. Solo allora anche la grande bellezza dell’arte e del
paesaggio tornerà a risplendere per
tutti, per quello che questi monumenti rappresentano non come “vestigia di sale”
bensì restituendo, orgoglio e forza per affrontare le sfide impossibili che ci
attendono, proprio come fu 75 anni fa.
Giuseppe Centauro (testo e foto)
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