lunedì 27 aprile 2020

Liberazione ingabbiata

Ricevo e pubblico questo scritto sulla Festa della Liberazione, 25 aprile appena passato, che io non ho festeggiato.

Liberazione ingabbiata
25 Aprile 2020, il giorno dopo. Ci resta quella corona di alloro “ingabbiata” dietro il cancelletto dei Caduti,  come un’icona che celebra l’anomalia di una festa, forzosamente dimezzata, della riconquistata libertà, acuita dal persistente vuoto della piazza. Atmosfera oggi ancor più surreale questa, alla quale non ci si può certo abituare pur nell’emergenza di una pandemia che prima o poi passerà. Dopo 60 giorni di distanziamento sociale quella  piazza  vuota pesa ancor di più.  Proprio così. La grande platea lastricata davanti al Castello dell’Imperatore e alla Basilica di Santa Maria delle Carceri si è dilatata ai nostri occhi  ben oltre il reale spazio fisico. Eppure, la nuda bellezza dei monumenti, tangibili e maestosi nel silenzio, indurrebbe il l’esteta ad esprimere parole di meraviglia e suggestione. Un sentimento questo che però lascia presto il posto ad altro molto più crudo che si riflette nell’ansia del momento che stiamo vivendo.  Sono ancora  beni culturali  questi? o sono piuttosto relitti di una cultura che sta dissolvendosi a distanza nel mondo del virtuale? La bellezza senza condivisione, senza cura e partecipazione può avere il sapore amaro della solitudine. Un’improvvisa trasmutazione dei sensi pervade chi osserva. Sarà forse l’effetto del respiro ansimato che dietro la mascherina ci appanna ritmicamente gli occhiali ma in quella nell’intermittente visione del vuoto si materializza una folla di persone, un esercito statico e inerme, fatto di donne e di uomini spossati e trasparenti come di chi non è più in questo mondo o di chi privato da un giorno all’altro del proprio lavoro, vaga senza più un proprio posto nella società. Per questi e per molti di noi resta ancora lontana la liberazione dall’abbraccio mortale del virus. Quando sarà finita l’onda della solidarietà, della mano tesa dei più fortunati verso chi si trova sul lastrico, rimarrà la sopravvivenza della disparità. Il vero senso della Liberazione di oggi, che pure ieri abbiamo celebrato nel segno della memoria,  non sta dunque nella retorica di quella evocazione. La politica tutta deve farsi partigiana, unita e solidale, per ricostruire l’assetto sociale distrutto, per sostenere le frange più scoperte, fatte di migliaia e migliaia di individui, di piccole imprese, di lavoratori stagionali, di precari, di artisti e di artigiani che si sacrificano in proprio. Si restituisca subito e per prima cosa a tutti questi la dignità dell’operosità fin qui spesa dietro le quinte, fattore primario di libertà e di identità sociale. Quel lavoro che ha fatto grande, nelle opere e nell’ingegno profuso, senza confini e steccati, la cultura del nostro Paese, che ha puntellato e resa credibile l’aspettativa per un mondo migliore nel quale ai vertici si dice di credere. Solo allora anche la grande bellezza dell’arte e del paesaggio  tornerà a risplendere per tutti, per quello che questi monumenti rappresentano non come “vestigia di sale” bensì restituendo, orgoglio e forza per affrontare le sfide impossibili che ci attendono, proprio come fu 75 anni fa.

Giuseppe Centauro (testo e foto)






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