venerdì 17 giugno 2011

Cari giovani, io come voi

I giovani,  gli eternamente precari,  gli eternamente esclusi.
In questi giorni li vediamo sfilare e risfilare, contro un sistema che non li vuole, che li blocca, che li esclude, e più spesso sfrutta.
Io che non ho più vent'anni, subisco lo stesso trattamento.
Dopo tanti anni di lavoro nel teatro, sono ancora precaria. Con gli unghie e con i denti mi sono costruita un teatrino, e vado avanti.  
Ho visto tanti artisti bravi lasciare l’arte perché non protetti, non figli d’arte o di papà. Non amici di nessuno.

Faccio un esempio: non ho mai recitato nel teatro della mia città, il Metastasio, come si dice in gergo non sono mai stata chiamata, come se fossi l’ultima pezzente, come se facessi schifo. Non sono mai stata l’amichetta di nessuno, anche se avrei potuto molte volte diventarlo. Non ho fatto mai la servetta di due padroni.
Il mio teatrino è vivo dal '93 e ancora molti fanno finta che io non esista. Al massimo qualche contentino, e via.

I cartelloni importanti si fanno con gli amici - a cui non si può dire di no -, o con chi conviene in qualche modo, o con chi ci si può 'scambiare'. Se chiamano i giovani, è solo per prendere fondi o fare 'a muina'. Ma poi li si tiene ben lontani, soprattutto se questi giovani non si comportano come i vecchi, se con si conformano al sistema.

E non c’entrano i colori delle giunte: con i precedenti direttori artistici e presidenti era uguale a ora. Ti guardano dall’alto in basso, con un fondo di disprezzo.
Non cambia niente. 

Come ha fatto Brunetta con i precari romani, che ha liquidato con “siete l’Italia peggiore”. Poi ha detto che quelli sono i figli di papà. Che confusione, che disgusto.

E’ il sistema che lavora solo orizzontalmente, fa lavorare parenti, amici, conoscenti, convenienti;  mai verticalmente. Non c’è nessun ricambio, mai.

A ciò si è aggiunta la crisi, un sistema selvaggio del lavoro, e ora per i giovani è ancora peggio di quando avevo vent’anni io.

Cari giovani, lo sbarramento è assoluto, la casta unita, e chi dice le cose che non vanno, parafrasando Leopardi, è detestato e marginalizzato.

Oggi il lavoro è servitù e servaggio.

m.e.

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