martedì 13 marzo 2012

L'università è dei mediocri? Fosse solo quella!

L'articolo  che copio è incollo sotto riguarda l'università ed è interessante, almeno fino a un certo punto. Parla il direttore de La Normale Fabio Beltram, che dà l'idea del 'sistema Italia': nepotismo, mafiette, interessi di partito, potere, mazzette?, prostituzione... Naturalmente il Prof non la racconta tutta, accenna soltanto, però qualcosa dice. Poi parla de La Normale e della Toscana Felix, e allora il Prof diventa addirittura un noioso conformista.
Naturalmente quanto dice vale anche per il settore artistico: ci sono i figli d'arte, Ci sono le 'puttane' (e intendo femmine e maschi); ci sono i furbi...tutti mediocrissimi nella stragrande maggioranza, noiosi, prepotenti, ligi al potere peggiore, anzi collusi, ma con la maschera dell'avanguardia, formale e di contenuto, l'alternativa finta, che però il pubblico, ingannato, segue e applaude ...
Mentre al Sud ci sono i figli di papà, i figli della borghesia ex latifondista, in Toscana, per esempio la maggioranza è costituita dai figli di partito....In quasi tutti i mestieri e posti di lavoro.

"Povera università strangolata dal nepotismo
Fabio Beltram, direttore della Normale di Pisa «Non riusciamo a premiare i migliori»
Anche i nostri diplomati incontrano qualche ostacolo in più in Italia e spesso finiscono per espatriare e costruire all’estero carriere rapide e prestigiose
Il nostro limite principale è l'incapacità a fare l'ultimo passo: ci fermiamo a metà dell'opera. Fatichiamo a puntare al massimo, ci accontentiamo
Il tarlo che corrode anche la società toscana è il nepotismo. E’ quanto sostiene Fabio Beltram , fisico, direttore della Nornale di Pisa. «C’è il nepotismo di cui leggiamo sui giornali: l'assunzione del figlio, del parente, dell'amante senza merito. Si tratta di casi gravi e volgari, ma numericamente limitati. La piaga, comunque, non è quella». La piaga è un’altra, riflette Beltram. «E quella dei docenti che sistemano i propri allievi, delle università che sistematicamente promuovono i propri docenti, invece di dare spazio ai migliori. Così i più bravi, i talenti sono costretti spesso a emigrare». Un j’accuse pesante, che nasce anche dall’angolo di visuale molto ambito e prestigioso di direttore della Normale. A proposito: quale è lo stato di salute della nostra scuola più famosa al mondo? «E' sicuramente buono. Abbiamo una forte capacità di attrarre i giovani di talento. Ormai ogni anno arrivano oltre 1500 domande di ammissione alla Scuola. La selezione è quindi molto severa, basti ricordare che offriamo 50-60 posti per il corso ordinario, e questo garantisce l'elevata qualità dei nostri allievi. E il numero delle domande tende a crescere… ». Il fatto che le domande alla Normale siano in crescita significa che la qualità delle nostre scuole superiori è buona? «Diciamo che questo indica che il nostro sistema scolastico garantisce un grande numero di giovani molto motivati che desiderano continuare gli studi con impegno e al massimo livello. Dobbiamo però chiederci come questo talento venga accolto e valorizzato nell'economia e nella società». Come sta cambiando la Normale? «La Normale deve evolvere e restare al passo dei tempi, ma tenendo fede a due pilastri. Il primo è l'attenta selezione e valorizzazione del talento. Questo infatti è il mandato che lo Stato ci ha assegnato». L'altro pilastro? «L'offerta di precise proposte e sfide culturali, al passo con i tempi, come strumento formativo. La Scuola insegna il metodo per affrontare problemi nuovi utilizzando la ricerca scientifica». Gli sbocchi professionali? «La Normale è nata nell’Ottocento per formare gli insegnanti delle scuole superiori, in seguito delle università e manager e dirigenti di Stato di grande successo. Oggi però attraversiamo una fase in cui i nostri diplomati incontrano qualche ostacolo in più nella carriera universitaria in Italia e spesso finiscono per espatriare e costruire fuori dal nostro paese carriere rapide e prestigiose». Perché? «Per la combinazione di due fattori: la contrazione delle risorse nel sistema universitario e la tendenza delle nostre università a selezionare i propri docenti al loro interno. Prevale una logica localistica». E così i vostri studenti vanno a insegnare a Parigi, a Cambridge, a Los Angeles. «Proprio così. Per noi da un lato è motivo di orgoglio, ma anche di frustrazione». Frustrazione? «Sì. Lo Stato investe per formare talenti che sono poi utilizzati da altri Paesi. Così rafforziamo i nostri competitori! Le pare razionale?». Altrove come funziona? «Prendiamo l'École di Parigi nostra cugina. Qui lo Stato richiede ai normalisti di lavorare in Francia almeno per un certo numero di anni. Lo Stato investe nella formazione di questi giovani, e questi devono impegnarsi a far fruttare il loro talento a beneficio del Paese». Tre università a Pisa ma poca collaborazione: l'impressione è quella di una guerra sorda. E' un'impressione sbagliata? «Direi di sì, se c'è questo sentire può anche darsi che qua e là si alligni uno spirito di bandiera mal diretto. Quello che posso dire con sicurezza è che non c'è ragione di competizione tra noi. Normale e Sant'Anna sono perfettamente complementari. E l'università, che ha un numero di studenti cento volte più grande di noi, ha un altro ruolo. Dobbiamo fare squadra. I localismi e le invidie non servono, anzi danneggiamo l'immagine di qualità del sapere pisano». Qual è il rapporto tra la città della scienza e quella della produzione? «Purtroppo insoddisfacente. In Italia e in Toscana abbiamo un sapere di qualità che il sistema delle imprese non riesce a intercettare appieno. C'è ancora troppa separazione tra il mondo dell'università e quello dell'impresa». Perché? «Intanto per un motivo culturale. Il nostro è un Paese che presta poca attenzione alla cultura scientifica. Se uno non sa se è nato prima Dante o Petrarca fa una brutta figura. Al contrario se non conosce la radice quadrata di venticinque nessuno ci fa caso, talvolta è perfino un vezzo. Questo fa sì che le imprese, in particolare quelle piccole, non siano in grado di cogliere le opportunità offerte dalla ricerca». In Toscana le industrie sono piccole. «E questo è un handicap perché la piccola azienda difficilmente ha le risorse per ricerca e innovazione». Un'altra ragione? «La tipologia dell'industria molto legata, anche in Toscana, a settori maturi, tradizionali, poco ricettivi in termini di innovazione. Neppure in questi settori però si può competere puntando solo sui costi. Siamo destinati a perdere rispetto alla Cina e ai paesi dell'Est dove la manodopera costa e costerà molto meno». Se questo è il quadro come giudica l'operato della Regione e del suo presidente Rossi? «Stimo molto il presidente Rossi (nella foto piccola ndr) per la sua visione e per il suo essere fattivo e concreto. Mi pare che faccia lo sforzo di seguire nuove strade puntando sull'innovazione e su settori strategici che possono rappresentare il futuro dell'economia toscana». Si riferisce? «Informatica e tecnologia, scienze della vita (basti pensare a farmaceutica e diagnostica avanzata), nanotecnologie». Settori del futuro ma che nel presente assorbono poca occupazione. «Siamo di fronte a un bivio. Possiamo privilegiare la protezione dei settori tradizionali perché oggi occupano molte persone, ma sappiamo che sono destinati a soffrire. Oppure possiamo puntare su produzioni innovative e dovremo forse intervenire anche con riconversioni dolorose nel breve, ma domani avremo concrete prospettive di crescita». Come vede la Toscana? «Possiamo essere orgogliosi della nostra qualità di vita. E per qualità non intendo solo il paesaggio e il clima, ma anche i servizi, la sanità, l'ambiente, il rapporto con la gente». Il nostro limite principale? «L'incapacità a fare l'ultimo passo: ci fermiamo a metà dell'opera. Ci accontentiamo. Fatichiamo a puntare al massimo». A un ventenne che suggerimenti si sente di dare? «La mia esperienza mi fa consigliare di scegliere quello che appassiona, quello che diverte. Naturalmente bisogna farlo con impegno e qualità. Non importa che tutti diventino ingegneri o medici. In ogni lavoro quello che conta è la passione e la voglia di migliorarsi sempre». Dopo due anni la direzione della Normale le piace? «Se penso alla possibilità che questo lavoro mi dà per far sì che i nostri allievi abbiano le condizioni migliori per la loro realizzazione, rispondo di sì. Se invece valuto il carico di lavoro e di preoccupazioni e quanto questo influisce sulla mia attività di studio e ricerca, sulla mia vita privata... ma è un incarico a termine, fortunatamente». (Mario Lancisi, Il Tirreno)"

1 commento:

Simone ha detto...

Ma questo signore dove è stato negli ultimi anni ( per non dire decenni ) ? Perché questi sono problemi che piagano il mondo universitario, culturale (e non solo ) italiano da una vita.
Magari invece di constatare la situazione potrebbe, grazie al prestigio del suo ruolo, cercare di fare qualcosa , anche un minimo gesto simbolico, perché qualcosa cambi. Chiaccherare sull'argomento come a un caffé serve a poco, purtroppo.

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