domenica 4 marzo 2012

Una lettera del Prof. Centauro sulle dichiarazioni di Marini

Ricevo dal Prof. Giuseppe Centauro e volentieri pubblico:


In merito all’intervista rilasciata da Riccardo Marini su “La Nazione” (Cronaca Prato):  ritengo che, se questa è la visione degli industriali in merito alle risorse della città,  ad esempio quella durissima, apoditticamente espressa per il caso Gonfienti, la miopia degli imprenditori pratesi  sia direttamente proporzionale all’incapacità cronica di investire sul proprio territorio. Pare una sorta di sudditanza psicologica che ereditiamo incolpevolmente dal passato, una sorta di sindrome del Sacco. Dovremmo tutti riflettere su questo punto. Le parole di Marini confermano infatti che nel DNA pratese non esista alcuna possibilità di uscire dalla cultura monotematica del manifatturiero degli anni ’60 del secolo scorso. Tutto ciò è anacronistico e fuori da qualsiasi oggettiva valutazione economica. Se per dimostrare l’assunto di una presunta pratesità si arriva persino  a colpevolizzare una risorsa straordinaria come quella della città etrusca di Gonfienti, siamo veramente arrivati al capolinea. Si punta il dito su una realtà archeologica negata fin dal momento della sua scoperta, che evidentemente vuoi per le condizioni di degrado ed incuria  in cui si trova, vuoi per  la mancanza di qualsiasi forma di protezione del sito e divulgazione dei suoi eccezionali reperti in città, non solo non potrà mai essere  in grado di richiamare turisti, ma addirittura produrrà, stante così le cose, effetti boomerang  totalmente negativi per l’immagine stessa della città, da stracciaiola a forcaiola. Queste affermazioni sono gravi perché non esprimono solo un punto di vista ma sono lesive di un valore che la comunità pratese vuole conoscere e fare proprio a tutti i livelli; sono parole che non dicono tutta la verità perchè in realtà è proprio in questa assenza di politica di gestione del bene il limite odierno della risorsa archeologica, e non già nel bene in sé. Si rammenta Marzabotto che da 150 anni ben si conosce e che vive una dimensione turistica assai diversa da quella che potrebbe avere la nostra Gonfienti, posta al centro della Piana fiorentina che conta milioni di visitatori l’anno, tuttavia concentrati su un’esausta Firenze che ormai è strangolata dalla massa di persone da accogliere quotidianamente e per questo vicina al collasso.
Per concludere questo amarissimo sfogo per gli scettici cronici e gli agnostici della cultura che ancora albergano numerosi in città, che pontificano senza dimostrare, che evocano senza conoscere, devo  portare un piccolo esempio, di come in realtà un singolo bene culturale possa trasformare l’economia depressa di un territorio. Cito l’Alta Valtiberina, dove alla fine degli anni ’80 e nel decennio successivo ho avuto l’occasione di lavorare intorno al “Progetto Piero della Francesca”. Pur  senza ricordare le punte di diamante di quel progetto culturale che ha cambiato la deriva economica di un intero territorio, queste ultime costituite dal  Museo Civico di Sansepolcro e dal Ciclo della Vera Croce di Arezzo,  a Monterchi, piccolo centro aretino di 1600 anime, prima del restauro della “Madonna del Parto” e della sua presentazione ad un pubblico vasto di persone, arrivavano sul posto si e no 1000/1500 visitatori all’anno, poi, a partire dal triennio 1992- 1994 , dopo avere acceso i riflettori sul capolavoro pierfrancescano, si è passati  ad oltre 100000 ospiti paganti, andando a consolidare stabilmente per oltre un quindicennio un numero annuo assai cospicuo, ben al di sopra delle 60000 unità. Si è investito in cultura, lo ha fatto addirittura una banca e si è raccolto il frutto auspicato, forse anche di più. Posso anche affermare con dati alla mano che con quelle stesse proporzioni è cresciuto l’indotto sul territorio sia per la filiera agroalimentare che per quella ricettiva e  immobiliare, specialmente riqualificando il centro storico dell’antico borgo, dove ad oggi non esiste  un alloggio vuoto.
Gonfienti quindi, o meglio il Parco Archeologico di Gonfienti, quando si costituisse davvero, accenderebbe  in un sol colpo tutte le altre emergenze culturali della città: il Castello federiciano, il Duomo, la basilica di S.M. delle Carceri, il nuovo Museo Civico, ma anche il contesto urbano e territoriale, le mura, il centro storico, il sistema dei  parchi con il Centro di Scienze Naturali e le Cascine di Tavola, la Calvana e il Monteferrato, ovvero tutte le potenzialità naturalistiche, scientifiche, culturali, storico-artistiche di Prato, ampliando la visibilità dei prodotti del territorio, ivi compresi quelli manifatturieri. Non dovremmo parlare più, riferendosi a Siena, Pisa, Arezzo ecc. ecc. di realtà culturali toscane “incomparabilmente” più attrattive di Prato.  Affermazioni come queste sono il frutto di un pensiero vecchio, cupo e angosciante in una triste reminescenza degli aspetti più provinciali della città-fabbrica, culturalmente subalterna alle città d’arte che vive ancorata nell’ideologia di un capitalismo  pseudo ottocentesco.
Basta quindi con questo qualunquismo di stampo vetero politico che guarda avanti solo con gli specchietti retrovisori , pensiamo piuttosto alle giovani generazioni, preparate e competenti, pronte alla sfida con il domani sulla spinta emotiva di rinnovate energie in grado di ripensare complessivamente alle attività  del futuro in modo integrato, anche al manifatturiero si capisce, ma non solo, basandosi tuttavia su obiettivi rinnovati e molto migliori per la stessa qualità della vita, finalmente basata sul rispetto dell’ambiente, una ritrovata consapevolezza della propria storia  e sulla valorizzazione in loco delle risorse naturali e culturali.

Giuseppe Alberto Centauro

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