E' divertente, ogni tot giorni me lo sento ripetere, come un 'refrain' di una vecchia canzone. Ma le declinazioni sono varie, e molte le ho annotate. Riguardano la mia passione per la politica, e sono molti che cercano variamente di dissuadermene, facendomi notare che c'è contraddizione fra teatro e politica.
Mentre facevo campagna elettorale, nel 2009, me lo rammentarono quasi tutti.
Umberto Cecchi, in una trasmissione televisiva dedicata ai candidati sindaco, a telecamere spente credo di ricordare, mi chiese, più o meno: -Mica lascerai il teatro per la politica? Sarebbe un peccato perdere un così valente drammaturgo-...Peccato però che diventato presidente del Metastasio non abbia dimostrato altrettanto interesse per il mio teatro. Ma forse perché è un teatro politico?
-Che c'entra il teatro con la politica?-, mi chiese retoricamente una professoressa di un famoso liceo, sempre durante la campagna elettorale. Secondo lei io non dovevo abbassarmi a tale attività, me lo consigliò vivamente.
Oppure: -Secondo me la tua passione è la politica, non il teatro; il teatro viene in secondo piano, è uno strumento...
Insomma, io dovrei occuparmi, secondo molti, di teatro, ma non di quello che accade intorno a me.
Non dovrei espormi con le mie idee, ma lasciar parlare il testo, possibilmente non troppo, e scrivere cosine divertenti o interessanti. Magari commerciali.
Ma la cosa stupefacente è questo settarismo culturale, questo incasellamento, questo impoverimento che si chiede all'intellettuale, all'artista. E' richiesta la tecnica, la specificità; magari anche occuparsi di argomenti 'sociali' come fanno anche certi teatranti di successo, ma non politici. Politici no.
Solo se sei artista benedetto dal partito, dal 'sistema'!, se diventi una capretta e tratti certi temi che vanno bene a loro, vieni benedetto e consacrato, e puoi belare.
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