lunedì 5 luglio 2010

Ancora su Gonfienti, ovvero come negare la storia

In merito alla ricca serie degli 'scippi' all'etrusca Gonfienti, il professor Centauro manda questo articolo, resoconto di una sua visita alla mostra "Per Ville e per Giardini. Soprese d'arte e archeologia alle porte di Firenze" (di cui a Prato nessuna ha saputo nulla). Si persegue nel rendere Gonfienti città marginale e non si contestualizzano le scoperte; e invece si metta cura nell' omettere lo scempio che è stato fatto con l'Interporto della Toscana Centrale.
L'imperativo categorico è dunque quello di artefare, banalizzare e rendere inoffensiva la storia. Anche quella recente.
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Andar “Per Ville e per Giardini. Sorprese d’arte e archeologia alle porte di Firenze”

Ho cominciato da Villa Corsini a Castello. Posso assicurare che la visita alla mostra, nella cornice della splendida e ben restaurata Villa Corsini in via della Petraia, è certamente da farsi: un itinerario espositivo accattivante, ingentilito da pezzi scultorei (alcuni straordinari per bellezza) mai visti prima, provenienti dai depositi dell’Archeologico e degli stessi Uffizi. Nell’ordinamento è protagonista il collezionismo mediceo e, con esso, la rilettura tardo settecentesca ed ottocentesca di quei capolavori. Al piano superiore la scena cambia radicalmente. Infatti, uscendo da questa cornice un poco eterea e “fuori dal tempo” (ma anche dai contesti di provenienza degli oggetti presentati nella migliore tradizione granducale), sono state allestite alcune nuove sale museali, contrassegnate dall’ VIII al X , improntate evidentemente ad un’altra logica ad un altro tipo di ordinamento, con tutta l’aria di accompagnare un’esposizione definitiva, piuttosto che una mostra temporanea come indicato nella brochure. Queste sale descrivono più ambiziosamente “Le testimonianze dal territorio. Dal villanoviano all’età romana”.
Percorrendo queste sale ti assale un progressivo disagio che si riassume infine in un pervasivo senso di angoscia, tanta è la banalizzazione delle tematiche archeologiche qui esposte che si rifà ancora una volta al concetto, più volte espresso dalla curatrice Poggesi, che intende imporre ai visitatori un’univoca chiave di lettura che indica una “Fiesole egemone” su tutto il territorio fin dal periodo proto-etrusco. L’osservazione non paia irrilevante se pensiamo alle scoperte archeologiche degli ultimi 50 anni che hanno interessato la Piana, ma la gravità della mistificazione è tale da rendere persino penosa ed imbarazzante la lettura dei reperti di Gonfienti, posti al centro delle novità espositive, specie per chi conosce la storia degli scavi. Ma il visitatore occasionale cosa può saperne? Delirante e totalmente pretestuosa è infatti la lettura dei reperti sottratti al loro naturale contesto, quali un antefissa, alcuni bacili di bucchero, vasi decorati (una kylix a figure rosse) e altri pezzi pregiati di ceramica depurata, qui assortiti con i ritrovamenti etruschi sestesi (tra questi emerge tra questi il Cippo di Settimello, destinato ormai da anni, con letture sempre diverse, a sostenere feticisticamente le esposizioni archeologiche del territorio fiesolano) e il kouros bronzeo scoperto nel 1790 a Pizzidimonte, qui esposto come bronzetto di Gonfienti ; ed ancora, l’impropria contaminazione con le collezioni tratte dalle ville romane di Calenzano, ed ancora, di Sesto.
Gonfienti e l’area bisentina, pur al centro delle novità ammirate dai visitatori, sono totalmente marginali; le cose sono estrapolate nell’ìdeologica e pervicace convinzione che, a nord dell’Arno gli Etruschi, fossero ospiti casuali, quasi fossero venuti da un altro pianeta.
Resta il fatto, totalmente inopportuno a mio parere, che la comunicazione dei ritrovamenti di Gonfienti fatta in questi termini distrugga ogni possibile evoluzione di ricerca che pare ormai ridotta alla pura fortuità e forse riconoscibile solo nel formale ringraziamento, sempre prodigo nei confronti dei soggetti ospitanti gli scavi e sponsor (Interporto, piuttosto che FF.SS, o Coop ed altro ancora).
Particolarmente grave appare il fatto che la città di Prato sia stata tenuta all’oscuro di questa iniziativa (ndr. neppure una comunicazione al Sindaco o all’Assessorato alla cultura) che, per la cornice patinata della mostra e la vicinanza con le cose fiorentine, rischia di compromettere in modo irreversibile il futuro archeologico del territorio bisentino, e non solo di quello.
La chicca finale la troviamo però nella scheda di catalogo che riproduce per l’Età del Bronzo, l’abitato oggi miseramente obliterato sotto un magazzino di 200.000 mq. sorto inopinatamente nell’area dello scalo merci dell’interporto; credendo forse di ingannare il lettore si presenta lo scavo come indagine archeologica preventiva, tradendone però la rilevanza strutturale stessa, negata dall’occupazione con piazzali, magazzini e binari, costituita – come si evince nella dichiarazione dell’autrice: “da vaste porzioni di aree insediative, che attestano una stabile occupazione durante l’età del Bronzo medio e recente, con straordinari materiali che confermano già per queste epoche forti legami con l’area padana …” .
Come dire che, pur avendo trovato il possibile anello di congiunzione, in un medesimo sistema territoriale condiviso, tra le popolazioni del bronzo e quelle del ferro si è lasciato che tutto questo scomparisse sotto il cemento per poi presentare i reperti come elementi decontestualizzati, al pari di quelli facenti parte delle collezioni pre-scientifiche di qualche notabile collezionista del passato.

Prof. Giuseppe A Centauro

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