sabato 26 marzo 2011

Dibattito sul teatro


(Questo dibattito nasce dal blog di Anna Bandettini , Post teatro, sul sito internet di La Repubblica)
Buongiorno, Marco.
Le problematiche esistenti in ‘provincia’ hanno sfaccettature diverse da quelle che tu dici per Roma, per esempio in Toscana l’esistenza di monopoli culturali fortissimi hanno da tempo fatto morire ogni possibilità di ‘emergere’ o circuitare a chi non è un nome o non fa parte di gruppi sostenuti politicamente o graditi perché utili in qualche maniera. La Fondazione Toscana Spettacolo possiede quasi tutte le piccole sale della regione e i grandi teatri, come il Metastasio di Prato, la fanno da padrone e coltivano la produzione ‘mitologica’, oltreché commerciale, ma di quel tipo raffinato e apparentemente ‘alto’, radical-chic. Tra l’altro i teatri importanti vengono giocati in modo sfacciato sulla scacchiera partitica e le nomine e le assunzioni sono solo gestite in tal senso, generando uno spettacolo a dir poco farsesco, ma con grave danno al teatro stesso. Meno forte, ma certo presente, è la percezione del teatro commercial-televisivo come lo descrivi tu, piuttosto è stato aiutato il teatro amatoriale (che comunque quasi sempre genera teatro commerciale), anche perché serve per il consenso. Non esiste, e non si vuole che esista, una idea del teatro come possibiiltà di lavoro serio.
Accolgo il tuo invito al dibattito, ormai assolutamente necessario, anche perché, come ho già detto, non si tratta solo di finanziamenti, ma anche di meccanismi truccati, di inganni che vanno scoperti.

Maila Ermini


“La città e i suoi teatri” di Marco Lucchesi TEATRO DUE ROMA
Se osserviamo la programmazione teatrale che offre la città di Roma non possiamo fare a meno di rilevare un dato piuttosto singolare: già ad una prima, sommaria analisi risulta infatti evidente come, negli ultimi anni, si sia registrato un graduale e costante sbilanciamento dell’offerta culturale verso un “prodotto” di tipo commerciale, ispirato ai linguaggi ed ai generi propri dell’intrattenimento e della televisione. Occorre inoltre evidenziare come questa tendenza si sia sviluppata – per forza di cose – a discapito di proposte di maggior spessore, contribuendo così a destrutturare quel tessuto, già fragile, di spettatori preparati e predisposti all’approfondimento di esperienze intellettuali man mano sempre più raffinate e complesse. In altri termini, quindi, la sperequazione dell’offerta che si è andata consolidando ha provocato una lenta ma inesorabile rinuncia da parte delle strutture teatrali alla propria funzione di formazione ed emancipazione culturale del pubblico, in favore di una politica esclusivamente ricreativa, predisposta al confezionamento di prodotti spendibili sul mercato dell’intrattenimento. Il teatro manca, in ultima analisi, di quel pluralismo che contraddistingue invece l’industria cinematografica, i cui mille volti diffondono generi e tematiche assolutamente diversificati, nel rispetto di un pubblico equilibrato e multiforme.
Il progressivo depauperamento delle risorse economiche destinate al teatro ha certamente contribuito a costruire un contesto nel quale la sopravvivenza del settore è direttamente proporzionale alla capacità dei singoli di reperire fondi attraverso il sistema economico, commercializzando le proprie proposte secondo i principi imposti dal marketing. Gli spettacoli che ne derivano sono confezionati appositamente per andare incontro alle esigenze del pubblico ed assecondarne a tutti i costi i gusti e le ambizioni di svago. Tali scelte sono, inoltre, direttamente incentivate dalla maggiore facilità con cui i mezzi di comunicazione in generale concedono loro spazi di visibilità e promozione, in ragione dell’omogeneità del cosiddetto target di riferimento.
Le istituzioni, d’altra parte, non hanno adottato nel corso degli anni alcuna strategia volta ad arginare questa desertificazione culturale né tantomeno hanno varato iniziative utili a preservare ed incoraggiare la scelta di quanti abbiano tentato di percorrere una strada alternativa a quella ludica che – per quanto legittima – risulta essere ormai pressoché l’unica opzione presente a Roma. L’assenza di misure organiche a sostegno di attività più costruttive ma meno redditizie si accompagna – paradossalmente – alla proliferazione di leggi e disposizioni economicamente penalizzanti che si traducono in oneri stritolanti soprattutto per un certo tipo di offerta, non supportata dalle preferenze del mercato. Le programmazioni determinate in questo modo, di conseguenza, diventano specchio di una condizione piuttosto che di una libera scelta e sono incapaci di riflettere liberamente le culture e le progettualità degli operatori impegnati nel settore. I fondi eventualmente reperiti grazie alle capacità imprenditoriali dei singoli gestori – sfruttando tanto le opportunità del commercio quanto il coinvolgimento di finanziatori privati – restano a loro volta imbrigliati in un meccanismo di autoconservazione, a scapito di moti di crescita e sviluppo che arricchiscano la propria attività e – di conseguenza – il panorama culturale in generale.
La storia recente della nostra città – con il triste elenco di tutti i teatri che sono stati costretti a chiudere i battenti – dimostra come, ad oggi, la volontà di aprire e di gestire una sala teatrale sia un’impresa da considerarsi assolutamente fallimentare ed evidenzia come la mancanza di politiche mirate abbia ingenerato un progressivo impoverimento del territorio stesso costretto a privarsi – per il prevalere del sistema economico su qualsiasi valore civico e culturale – di importanti luoghi di crescita per tutta la società civile.
Roma, in ultima analisi, offre al nostro sguardo uno scenario intellettuale gravemente deficitario con una programmazione teatrale non all’altezza delle sue responsabilità storiche e culturali, soprattutto se considerate in relazione al ruolo assunto nei confronti dell’Italia e dell’Europa intera.
Alla luce di queste osservazioni appare doveroso e, mai come ora, urgente aprire un momento di dibattito e di riflessione con tutti gli operatori del nostro settore per interpretare insieme la deriva in atto e trovare una strada per deviarne la rotta.

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