lunedì 28 marzo 2011

Il campetto

Come contributo al mio articolo sul campino abbandonato di Casale,  per cui presto partiremo con  raccolta firme e protesta contro questo nostro 'Comunello' pratese, il mio amico Tonguessy che saluto, mi manda questo contributo scritto qualche tempo fa. In altre parti d'Italia i campini, che lui chiama altrettanto bene 'campetti', sono del tutto scomparsi.


Chi ha parecchi capelli bianchi come il sottoscritto si ricorda di com'era l'Italia degli anni '60. Poche macchine, tante biciclette, le vespe e le lambrette. E nugoli di ragazzini figli del baby-boom del decennio precedente quando, finita la guerra, si era tornati alle cose normali: il lavoro, la famiglia, la casa. I figli rappresentavano la speranza del "darci un taglio" così straordinariamente testimoniato dalla nostra Costituzione: lavoro per tutti, mai più guerra, democrazia. Noi bambini dell'epoca eravamo tanti e, come tutti i bambini, giocavamo. Tra i giochi dell'epoca alcuni sono ormai scomparsi, purtroppo. 
Pindolo, ad esempio. Gioco semplicissimo fatto con un vecchio manico
 di scopa opportunamente adattato che ricalcava le orme del moderno baseball. Oppure il carrettino costruito con un asse, il solito manico di scopa con due cuscinetti alle estremità avvitato alla fine dell'asse ed un pezzo di legno imbullonato all'estremità opposta con sotto il terzo cuscinetto a fare da sterzo. I cartoni quando c'era una discesa e neve o, meglio, ghiaccio e ci si lasciava scivolare e poi si risaliva. Poi il sempiterno calcio. 
 Il campetto rappresentava il fulcro sociale dei nostri giochi, l'agorà ludico dove tutti i giochi avevano luogo, con l'esclusione del carrettino, delle corse in bici o dei "giri d'Italia" con i tappi corona che necessitavano di strade asfaltate. Campetto o piazzetta che fosse tutti i pomeriggi dopo la scuola o anche la mattina durante le vacanze ci si trovava lì. Non c'era nè il televisore con i suoi Disney Channel nè la Playstation. Oggi invece abbiamo Sky, playstation, computer e molto altro ancora: auto in quantità (abbiamo il più alto rapporto auto/abitanti d'Europa), ed una autentica chicca della globalizzazione: le zanzare tigre, attive 24h al giorno.  Abbiamo però perso quel campetto, diventato ormai condominio, case a schiera o selciato progettato da qualche  illustre architetto. Non ci sono più quei giochi semplici ma non ci sono più, a ben guardare, neanche i bambini. Dove saranno finiti? Tra tv, playstation e computer non si schiodano proprio mai di casa? Per chi ha bambini in età scolare sa che esiste un'alternativa: il patronato. Che, differentemente dal campetto, è di proprietà privata. Anzi appartiene ad un altro Stato. Dove lo Stato fallisce subentrano i privati, oppure un altro Stato che si vede garantito il diritto a mantenere degli spazi di condivisione sociale all'interno del territorio Italiano. Territorio Italiano che altrimenti non avrebbe spazi di socializzazione minorile.   Buffo, no? I nostri figli per svolgere attività ludiche devono quindi entrare in quella parte del territorio Italiano gestito da un altro Stato, perchè il nostro, quello delle belle speranze del dopoguerra, non ha più niente da offrire. Grazie ed una accorta politica di saccheggio territoriale è stato cementificato tutto. Perfino i pochi spazi "pubblici" sono di appannaggio delle macchine, parcheggiate in ogni dove. Ne hanno diritto, visto che pagano la tassa di circolazione. I nostri figli invece, non pagando niente, non possono accampare  diritti.

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